FANTAITALIA – IL FASCINO DELLA TRADUZIONE – intervista a MAURIZIO NATI, il traduttore italiano di DHALGREN

Maurizio Nati conosciuto soprattutto per aver tradotto l’opera omnia di Philip K. Dick, oltre a Matheson, Wyndham, Farmer, Miéville e Delany

Intervista a MAURIZIO NATI - Samuel Ray Delany
Samuel Ray Delany

B-SIDES: Grazie per aver accettato l’intervista.
Lei è conosciuto soprattutto per aver tradotto l’opera omnia di Philip K. Dick, oltre a numerosi romanzi e racconti di autori storici di fantascienza come Richard Matheson, John Wyndham, Philip José Farmer… e di scrittori venuti recentemente alla ribalta come China Miéville.
Affrontare la traduzione di un romanzo monumentale, affascinante e complesso come Dhalgren di Samuel Delany per lei è stata una sfida inaspettata o era un sogno che coltivava da anni? Sempre che Dhalgren sia un sogno per un traduttore e non una maledizione.

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Be’, inizialmente è stata una sorpresa. Conoscevo di fama il romanzo, pur non avendolo letto, e quando Fanucci mi propose la traduzione, ormai quasi dieci anni fa, non me l’aspettavo affatto e lì per lì ne fui spaventato. Mi domandai se sarei stato all’altezza del compito e chiesi tempo per dare una risposta. Dopo qualche giorno decisi di accettare la sfida, perché di sfida in un certo senso si trattava, confortato anche dal fatto che esisteva una Delany-list molto attiva e che lo stesso Chip (il soprannome di Dealany N.D.R.) mi aveva offerto la sua collaborazione via email. Chiesi quindici mesi di tempo, mi armai di coraggio e mi misi al lavoro.
Ovviamente avevo sottomano la precedente traduzione, quella di Roberta Rambelli per la Libra: seppure piena di errori, di travisamenti e di qualche omissione, era pur sempre una base di partenza. Del resto lei aveva lavorato in un periodo in cui non esisteva ancora Internet, con tutte le sue meraviglie, e dunque il suo lavoro può considerarsi sostanzialmente riuscito, almeno in parte.
Nel corso dei mesi sono entrato pian piano nel mondo di Dhalgren. Non è solo un modo di dire: della mailing list facevano parte persone molto preparate e molto disponibili che mi hanno poco per volta aiutato a capire la struttura del romanzo e le sue numerose chiavi di lettura. Ma l’aiuto maggiore l’ho ricevuto proprio dall’autore, un uomo di squisita sensibilità e intelligenza che ha saputo suggerirmi, più che spiegarmi, l’approccio giusto. E’ stato prodigo di consigli, mi ha mandato del materiale critico, indirizzato nella direzione giusta per così dire. Il resto l’ho fatto io, mettendoci molta umiltà e molto impegno, e anche una quantità di ricerche su Internet. Alla fine quella che sembrava una missione impossibile si è trasformata in un’avventura esaltante e il romanzo mi si è come dischiuso, offrendomi tutti i suoi tesori. Più andavo avanti e più la traduzione sembrava farsi più semplice, più spontanea, più veloce. Ho concluso in sorprendente anticipo sul termine che mi ero prefissato, e nel tempo rimasto ho effettuato più di una revisione, limando e migliorando, ma mi sono reso conto che ero riuscito a cogliere la vera essenza di un’opera straordinaria e straordinariamente complessa.
A tutt’oggi sono molto orgoglioso del risultato, anche se sono convinto che forse si potrebbe migliorare ancora qualcosa. Ma questi sono lussi che ci si può concedere solo con l’Ulysses di Joyce.
In ogni caso Dhalgren rimane una delle tappe fondamentali della mia carriera di traduttore, un’esperienza irripetibile che mi ha arricchito
e, in certe occasioni, commosso. Aspetto con ansia un’altra esperienza come quella, anche se la traduzione di “La città & la città di Miéville” ci si è avvicinata molto.

Alcuni romanzi tradotti da Maurizio Nati
Alcuni romanzi tradotti da Maurizio Nati

B-SIDES: Dhalgren affronta tematiche complesse come il concetto di aggregazione sociale, di identità e di mutamento, il ruolo della parola, della poesia, dell’informazione… E’ un’opera così ricca di chiavi di lettura e di commistioni letterarie che può davvero essere associata all’Ulysses di Joyce.
Nonostante queste premesse, sono rimasto colpito dalla “leggibilità” del romanzo: dalla fluidità con cui Delany passa da atmosfere misteriose, mitologiche, liriche a scene realistiche, drammatiche, violente, alternando vivide descrizioni dei personaggi a riflessioni autoreferenziali sulla scrittura.
Se il lettore italiano viene catturato non solo dalla trama del romanzo (piuttosto “aperta”, come direbbe Umberto Eco), ma anche dallo stile sfaccettato di Delany, è grazie alla sua traduzione “spontanea”, coinvolgente e senza forzature. Ma per arrivare a questo risultato avrà dovuto “limare”, fluidificare, rimodellare ogni frase (ogni parola?).

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Effettivamente, soprattutto in sede di revisione, ho dovuto effettuare un certosino lavoro di manzoniana “risciacquatura” lessicale in cerca del termine che meglio esprimesse, anche dal punto di vista sonoro, quel certo concetto in quel certo contesto.
In alcune parti del romanzo (penso in particolare alla prima parte del capitolo settimo, uno dei più complessi) il lavoro è stato ancor più difficile (ma anche più intrigante) per via delle numerose correzioni,cancellature, glosse, oppure perché l’autore fa ricorso a una forma di scrittura libera che privilegia la musicalità alla comprensione. Però devo aggiungere che la lingua italiana è così ricca, dal punto di vista lessicale, che mi ha offerto un’ampia varietà di soluzioni.
Quanto alla “leggibilità” (meglio “scorribilità”) del testo, è ciò che mi sforzo sempre di offrire al lettore. E’ in sostanza ciò che vorrei
trovare io in un libro.

B-SIDES: La punteggiatura è sicuramente importante. Ricordo una scena di Dhalgren in cui il protagonista senza nome (ribattezzato “il Kidd”), dopo aver composto una poesia, la vede trascritta e si accorge che nel testo manca una virgola (o si convince che quella virgola doveva assolutamente esserci). La mancanza di quella virgola lo irrita e, in alcuni momenti, lo esaspera al limite della paranoia. Possiamo leggere la presenza/assenza di una virgola come una metafora, ma per uno scrittore (soprattutto quando parliamo di Delany) l’attenzione ossessiva per la punteggiatura potrebbe essere anche reale, e nel romanzo viene estremizzata solo per esigenze narrative. Nella traduzione, la punteggiatura va in qualche modo adattata per adeguarsi alla musicalità della lingua in cui si sta traducendo? O la punteggiatura originale va rispettata il più possibile, tenendo  però presente il piccolo avvertimento di Delany: “Cercare la precisione è rischiare la goffaggine” (pag. 809)?

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Se il testo è normale, per così dire, anche la punteggiatura è normale. Delany è maestro di bello stile, e assecondarlo in italiano non è difficile, purché non si perda di vista il suo rigoroso modo di
scrivere, dove le parole e a volte anche i punti e le virgole hanno effettivamente un loro peso specifico. Quando si passa a un registro più alto (lo “stream of consciusness“, per esempio, o le parti già citate del diario corretto e annotato), allora la punteggiatura cambia, o segue regole tutte sue o manca del tutto. In quel caso il lavoro del traduttore si fonda molto sul rispetto della fluidità e dell’armonia interna, e deve rispettare l’architettura impazzita che nelle intenzioni dell’autore sostituisce quella tradizionale. Non vorrei ripetermi, ma tradurre opere di questo livello comporta necessariamente una “full immersion” emotiva, dimenticare la propria parte razionale e abbandonarsi a quella più istintuale: diventare in sostanza un filtro cha da una parte prende materiale e dall’altra lo restituisce manipolato, pronto a essere fruito da un pubblico nuovo.

Intervista a MAURIZIO NATI Samuel Ray Delany - "Vice Versa" copertina di Moebius - "Babel 17" - "I Gioielli di Aptor" copertina di Karel Thole
Samuel Ray Delany – “Vice Versa” copertina di Moebius – “Babel 17” – “I Gioielli di Aptor” copertina di Karel Thole

B-SIDES: Delany è sicuramente un “maestro di stile”, ma nel mondo dell’editoria questa caratteristica a volte viene vista come un… ostacolo.
Delany stesso riferisce in un’intervista alla Minnesota Review (autunno 2006) che molte case editrici (anche famose) rifiutano la pubblicazione delle opere di esordienti, motivando così il rifiuto: “Siamo spiacenti. Questo libro è scritto troppo bene per noi.” Confesso di aver riso parecchio, però Delany sembrava serio. Lei riscontra anche in Italia questa diffidenza degli editori nei confronti delle opere stilisticamente ben scritte, soprattutto se vengono etichettate come romanzi di genere?

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Non saprei. Di certo al giorno d’oggi gli editori tendono a seguire le mode finché tirano e sono pochi quelli disposti a scommettere su autori nuovi di qualità. Quando lo fanno sembrano privilegiare quelli che “si scrivono addosso”, come li chiamo io, cioè gente che sa mettere bene insieme le parole, ma in realtà non ha nulla da raccontare. Oppure vanno alla ricerca di nomi esotici spesso lontanissimi dalla nostra sensibilità. I romanzi di genere vanno bene se appartengono a un genere che al momento piace: i vampiri, per esempio, o le saghe fantasy, ma una volta passata la moda anche quelli cadranno nel dimenticatoio. Quanto alla fantascienza, invece, sembra che soffra di una crisi ormai di lunga data, eppure oltre oceano ci sono decine di ottimi romanzi che nessuno
si sogna di pubblicare da noi. Unica eccezione l’editore Delos Books che sta facendo un ottimo e coraggioso lavoro.

Intervista a MAURIZIO NATI Samuel Ray Delany - La trilogia delle torri: "La Città Morta" "Le Torri di Toron" "La Città dai Mille Soli"
Samuel Ray Delany – La trilogia delle torri: “La Città Morta” “Le Torri di Toron” “La Città dai Mille Soli”

B-SIDES: In effetti Delos Books ci ha fatto conoscere autori del calibro di Ted Chiang, Cory Doctorow, Charles Stross, Ian McDonald… Nel 2008 anche Stampa Alternativa aveva pubblicato un’ottima antologia di Ted Chiang,e nel 2009 “Newton Compton” un importante romanzo di Cory Doctorow.

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Per rimanere nell’ambito che conosco un po’ meglio trovo che Fanucci, pur cercando di strizzare l’occhio a tematiche di successo, a suo modo faccia ogni tanto anche delle scelte coraggiose: non solo il Delany di Dhalgren e quasi tutto Miéville, ma anche Walter Mosley e David Levien, scrittori solidi e pieni di idee innovative.

B-SIDES: Negli anni 70 e 80 la casa editrice Fanucci proponeva fantascienza di qualità, con attenzione a opere sperimentali e di avanguardia, che richiedevano necessariamente delle traduzioni all’altezza. Per esempio mi vengono in mente romanzi importanti come “Jack Barron e l’eternità” di Norman Spinrad, “334” di Thomas Disch, l’antologia di racconti “I segreti di Vermillion Sand” di James G. Ballard…  credo tutti tradotti da Roberta Rambelli, bravissima traduttrice di quegli anni, che, come lei ha ricordato prima, aveva tradotto anche Dhalgren con i pochi mezzi allora a disposizione. Più recentemente, merito di Fanucci è stato riproporre dopo una lunghissima assenza un’altra opera importante di Delany: “Una favolosa tenebra informe”, anche conosciuta come “The Einstein Intersection”. Però la trilogia delle Torri (“The Falls of the tower”), che meriterebbe una nuova e più adeguata traduzione, sembra scomparsa perfino dalla bibliografia italiana di Delany. Eppure ci sono parti della trilogia che, secondo me, anticipano temi poi sviluppati in Dhalgren, come la sperimentazione linguistica, la poesia, la violenza metropolitana…

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Sono scelte editoriali dettate da ragioni che spesso a noi sfuggono, e che cambiano col cambiare dei tempi. Personalmente a me Fanucci (Sergio) sembra piuttosto umorale, insegue le nuove tendenze cercando di anticiparle, e a volte ci riesce (pensiamo per esempio al genere avantpop), ma poi non sempre sa o vuole dare un seguito a quelle scelte.
Quanto alla vecchia gestione Fanucci (quella paterna) ha avuto molti meriti, ma bisogna considerare che allora (anni 70) c’era un patrimonio sterminato di opere a costi accessibili fra le quali scegliere, e c’era anche un pubblico in Italia pronto a recepire una fantascienza più matura e stilisticamente più accurata. Insieme alla Nord ha certamente
proposto il catalogo più interessante di quegli anni, entrambi aiutati da giovani critici competenti e appassionati.

B-SIDES: “Critici competenti e appassionati”. Ricordo di quegli anni Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, Sandro Pergameno, Giuseppe Lippi (l’attuale direttore di Urania)…

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: E Vittorio Curtoni, recentemente scomparso. Ottimo traduttore e critico, lo conoscevo fin dai tempi della prima “Robot”. E’uno che ha fatto davvero molto per la fantascienza italiana.

Robot - Rivista di Fantascienza
Robot – Rivista di Fantascienza

B-SIDES: In quegli anni lei ha collaborato con Carlo Pagetti, uno degli studiosi più importanti nel campo della fantascienza inglese e americana. Ricordo le introduzioni di Pagetti ai romanzi di Philip K. Dick pubblicati dall’Editrice Nord: erano veri e propri saggi.

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Pagetti è da molti anni uno degli studiosi più acuti e sensibili dell’opera dickiana. In effetti i suoi contributi (per lo più introduzioni ai romanzi) costituiscono a questo punto un imponente
corpus critico che ha anche il pregio non indifferente della chiarezza e che libera lo scrittore californiano dalle pastoie di una lettura confinata all’interno del genere, inquadrandolo nel più grande panorama della letteratura americana del secondo novecento.

B-SIDES: E’ curioso che uno dei detrattori di Dhalgren sia stato proprio Philip K. Dick. In fondo la domanda tipica di Dick – “cos’è reale?” – emerge leggendo anche Dhalgren. Certo, Delany lascia aperte al lettore molte possibili risposte e offre un finale circolare che non è un vero è proprio finale, mentre  Dick sorprende il lettore con colpi di scena inaspettati, all’interno di una trama solida, ben costruita, che porta a un finale evidente, anche se spiazzante.  In fondo, è come se entrambi gli autori denunciassero l’ambiguità della realtà, ma con tecniche narrative così diverse fra loro da sembrare incompatibili (incomprensibili per Dick?).

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Non ho letto tutto di Delany, ma i due scrittori mi sembrano abbastanza diversi fra loro. Delany è un lucido e raffinato intellettuale che sa quasi sempre di cosa parla, Dick è un geniale dilettante che almeno all’inizio va un po’ per tentativi. Delany ha un approccio più sociologico e politico alla lettura della realtà, Dick più filosofico e religioso. Si potrebbe dire che il primo è più interessato alla società, il secondo più all’uomo. Quello che li accomuna è l’utilizzo della fantascienza come strumento, si potrebbe dire come pretesto, per raccontare le loro storie. Indubbiamente, però, la Bellona di Dhalgren ha una qualità visionaria che ricorda il Dick impasticcato di “Ubik“. E di
certo entrambi sono vigorosamente contro il potere e le sue manipolazioni.

Samuel Ray Delany Books
Samuel Ray Delany Books

B-SIDES: Oltre a Dick e Delany, vuole ricordare qualche altro autore che ha tradotto con soddisfazione?

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Oh, sono tanti, praticamente tutti quelli che contano. Però mi piace ricordarne alcuni di cui ho apprezzato la disponibilità e la grande umanità. A parte Delany (e non lo dico per piaggeria, ma perché mi è stato incredibilmente vicino) vorrei ricordare Nancy Kress, Robert, Sawyer, Robert Wilson, Norman Spinrad, Joe Lansdale, David Levien e China Miéville. Con tutti questi ho avuto dei rapporti epistolari splendidi. Un altro è Michael Moorcock, di cui ho tradotto un paio di romanzi che però sono in attesa di pubblicazione, e che è davvero un personaggio incredibile, ancora vitalissimo.

B-SIDES: Concludo con una domanda su di lei e sul suo lavoro. Nadia Fusini ha ricevuto un premio per la bella traduzione delle “Onde” di Virginia Woolf. Lei ha ricevuto dei riconoscimenti? O almeno degli apprezzamenti da parte dei critici, degli appassionati di fantascienza, dei fans…?

MAURIZIO NATI MAURIZIO NATI: Mai ricevuti riconoscimenti di sorta. Ma nell’ambito degli appassionati, soprattutto quelli di Dick, godo di qualche considerazione, se non altro per la lunga militanza e per qualche buona iniziativa di cui sono stato protagonista insieme a Sandro Pergameno nel lontano 1976: la mitica rivista Fantascienza Ciscato che molti ancora ricordano con interesse. Fantascienza Ciscato è stata una straordinaria esperienza finita male. Ciscato era una persona strana. Geniale, a suo modo, e pieno di sacro fuoco. Ancor oggi non so bene cosa gli sia successo, credo nulla di buono, ma se dovessi rifare una rivista la rifarei così. Anche se allora erano davvero altri tempi. C’è anche da dire che l’attività di traduttore per me è stata secondaria in quanto ho sempre avuto un altro lavoro che mi dava da vivere. La mia attività lavorativa si è svolta all’interno di archivi e biblioteche (Ministero beni culturali), e sempre con grande soddisfazione.
Ho cominciato a tradurre nella prima metà degli anni settanta perché ho avuto la fortuna di conoscere Fanucci padre e perché ero un grande appassionato di sf (nonché laureato in lingue e letterature straniere), poi ho continuato con Armenia e Nord, infine di nuovo con Fanucci (figlio). Tradurre è stato un hobby, diciamo così, e adesso che sono in pensione posso coltivarlo con maggior tempo libero a disposizione.
Tradurre è davvero un’attività creativa senza pari ed è di per sé sufficiente a darmi un grande piacere.

Intervista a MAURIZIO NATI Copertine della rivista "Fantascienza Ciscato"
Copertine della rivista “Fantascienza Ciscato”

1 thought on “FANTAITALIA – IL FASCINO DELLA TRADUZIONE – intervista a MAURIZIO NATI, il traduttore italiano di DHALGREN

  1. cerco maurizio nati che ha studiato alle medie l.. Ariosto di Roma compagno di scuola di stefano Ruggeri e di Walter Salvucci

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