MONDO TECHNO intervista a Andrea Benedetti

Se c’è un genere musicale trascurato dalla critica e dagli studiosi italiani di musica questo è la techno. Credo che tutti coloro che denigrano questa musica non ne conoscano la vera natura e le origini. Le ragioni sono molteplici: svalutazione del ballo come pratica superficiale, dell’elettronica in quanto non-musica, della pratica del DJ che (apparentemente) creò la crisi della musica dal vivo nei locali, difficoltà a capire la fondamentale importanza della ripetizione, l’identificazione del genere con i prodotti più commerciali a scapito della grande parte sperimentale underground, le critiche sul fenomeno rave. Questo intrecciarsi di pregiudizi tra le altre conseguenze ha fatto sì che, a parte pochissimi spazi sui giornali e riviste, siano stati solo tre i libri pubblicati su questo genere e tutti in anni recenti (dal 2006 al 2011).

Se c’è un genere musicale trascurato dalla critica e dagli studiosi italiani di musica questo è la techno. Credo che tutti coloro che denigrano questa musica non ne conoscano la vera natura e le origini. Le ragioni sono molteplici: svalutazione del ballo come pratica superficiale, dell’elettronica in quanto non-musica, della pratica del DJ che (apparentemente) creò la crisi della musica dal vivo nei locali, difficoltà a capire la fondamentale importanza della ripetizione, l’identificazione del genere con i prodotti più commerciali a scapito della grande parte sperimentale underground, le critiche sul fenomeno rave. Questo intrecciarsi di pregiudizi tra le altre conseguenze ha fatto sì che, a parte pochissimi spazi sui giornali e riviste, siano stati solo tre i libri pubblicati su questo genere e tutti in anni recenti (dal 2006 al 2011).

Andrea Benedetti

Io che ho sempre provato attrazione per questo genere, sono stato molto contento di ricevere dalla sempre attiva Stampa Alternativa la nuova edizione del primo di questi libri: “Mondo techno” di Andrea Benedetti! In due parole: libro consigliatissimo! È stato davvero molto bello ricordare certi musicisti e dischi e scoprire finalmente certi nomi fondamentali dietro musiche spesso famose ma nello stesso tempo sconosciute.

Ma questa volta, oltre a quel libro così ben scritto, col cuore e con il cervello, c’è una sorpresa. Oltre ad una preziosa e suggestiva postfazione di Claudia Attimonelli (che ha scritto il secondo libro italiano sulla techno, di cui attendo la nuova edizione, prevista per fine estate) questo libro ha visto la collaborazione dell’autore del terzo libro italiano sulla techno! Sto parlando di Christian Zingales, che conoscerete come fondamentale collaboratore di Blow Up e autore di numerosi e personalissimi libri, tra i critici più dotati, un vero e proprio scrittore, uno dei giornalisti rock dalla lingua più selvaggiamente creativa che siano mai apparsi in Italia. Zingales ha preso il testo e lo ha REMIXATO! Attraverso un editing a tratti leggero e a tratti pesante ha sostanzialmente ridato una nuova patina al libro creando un prodotto editoriale senza precedenti.

 

Ritengo questo libro importantissimo sia per chi già ama questa musica ma soprattutto, direi, per chi non la ama ma magari ha quel tanto di apertura mentale necessaria alla scoperta di un universo enorme eppure sommerso.
E quindi ho voluto assolutamente contattare l’autore per fare un po’ di chiacchere su molte cose.

Andrea Benedetti (anche conosciuto come Sprawl) è DJ, produttore, distributore e collezionista di dischi. È una figura fondamentale nella scena techno romana.
Con le sue etichette Sounds Never Seen, Plasmek ha pubblicato dischi di numerosi artisti: Lory D, Jollymusic, Mat 101, Raiders of the Lost Arp e altri. Grazie alla sua enorme cultura sul groove nella musica moderna è la voce dalla quale possiamo ascoltare la grande storia di un genere davvero unico.

Abdul Khadim Haqq TECHNO ART

B-SIDES: Ciao Andrea e grazie per avermi concesso quest’intervista! Mi fa molto piacere parlare con te perché il tuo libro, senza girci tanto intorno, è davvero molto bello e consigliatissimo a chi si interessa di elettronica, entusiasmante nel comunicare l’importanza e la potenza della techno degli anni 1985-1995 e preziosissimo con le sue playlist di 12” di Detroit e Roma e i 50 dischi essenziali, cose che non si trovano da nessuna parte in rete (i libri devono essere così, oggi!). Meritava davvero di ritornare in libreria (a dodici anni dalla prima edizione) perché c’è ancora molto bisogno di trattare in maniera seria e competente questa musica che forse, come ha detto qualcuno, è la rivoluzione musicale più significativa avvenuta dopo il Punk.

Mi interessano molto i temi che il tuo libro solleva. In primo luogo quello della storica avversione italiana nei confronti della musica elettronica. Potrebbe essere la solita vecchia storia dell’antiscientismo italiano? Della subordinazione della cultura scientifica a quella umanistica? Andando più nello specifico penso che solo in Italia ci siano persone che denigrano questa musica negando a coloro che la creano e suonano addirittura lo status di “musicisti”. Che ne pensi?

Andrea Benedetti: Il tuo è un discorso molto complesso e non so se ho la competenza per farlo bene come meriterebbe. Posso dirti che quando ero adolescente ed ho ricevuto input esterni, dai libri, ai fumetti, alla musica, ho cercato sempre di scegliere ciò che mi piaceva aldilà di ciò che mi circondava che non era certo il massimo in termini di offerta. E l’ho fatto girando continuamente, sia che fosse la manopola della mia radio per cercare le trasmissioni giuste che le edicole, le librerie o i negozi di dischi della mia città. Alla fine, con difficoltà ho trovato qualcosa e quel qualcosa mi ha portato avanti nella mia ricerca, facendomi trovare altre cose come in un puzzle infinito ancora da completare. Quella che ho sempre riscontrato in questa ricerca, soprattutto agli inizi degli anni ‘80, è stata una grande diffidenza per l’elettronica e per ciò che sapeva di nuovo e quindi di futuro. Credo che il nodo, per come la vedo io, sia nella ritrosia di chi aveva abbracciato la cultura di rivolta giovanile anni ’70 che tante cose importanti aveva apportato nella società italiana, nell’accettare queste nuove proposte che spesso non venivano neanche analizzate, ma semplicemente rifiutate a priori perché magari viste come effetto di un cambiamento pericoloso, consumista e disumanizzante. Penso alla musica da ballo di cui veniva solo evidenziato l’aspetto edonista invece di quello del riscatto sociale. Si parlava solo di Studio 54 e dei suoi VIP e mai del Loft di Mancuso o del Gallery di Nicky Siano. Nessun giornalista si prese la briga di fare le stesse ricerche fatte per altri generi musicali. Magari se qualcuno lo avesse fatto si sarebbe parlato della storia del clubbing mettendo in risalto ad esempio la rivalsa di tante persone ghettizzate dalla società americana, dai neri, agli ispanici, agli italiani, ai gay o magari la si sarebbe potuta analizzare musicalmente e invece poco o niente o perlomeno nulla che arrivasse a tutti come avveniva per altri generi musicali su tante riviste specializzate. Lo stesso avveniva con molta fantascienza ed i fumetti tralasciando le importanti idee rivoluzionarie che questi generi e medium portavano, dalla lotta alla discriminazione ad una visione realista sul futuro. Lo stesso è poi avvenuto con la techno e l’house, ridotti a meri generi dance, se non ad upgrade edonista della visione Studio 54 di cui sopra. Per cui direi non solo avversione della musica elettronica, se non quella colta, ma anche e soprattutto del ballo e implicitamente della liberazione del corpo a scapito di una visione puramente intellettuale dell’essere umano, quando le due cose a mio parere devono convivere.

http://www.youtube.com/watch?v=2GnFvdaEl2Q

B-SIDES: Non a caso citi la fantascienza e i fumetti, tra i miei interessi da sempre…tra le connessioni tra la techno e la SF ci sono molte tematiche dei pionieri del genere, il rapporto uomo macchina, un’utopia liberatrice attraverso la tecnologia ma anche un legame visivo, le straordinarie copertine di Abdul Qadim Haqqche possiamo vedere qui sotto.

Dentro la grande e ormai lunga storia della musica elettronica un grande capitolo lo occupa la musica techno. Sono davvero emozionanti i tentativi, alcuni dei quali citati nel libro, di definire questo genere musicale. Una delle più efficaci è forse «La techno è George Clinton e i Kraftwerk chiusi insieme in ascensore» del grande Derrick May, che del resto è anche autore di un pezzo il cui titolo si presta bene per chiudere subito il discorso: “It is what it is (Rhythm is rhythm)”. Io non credo alle definizioni assolute, come fossero teoremi, ma credo che riflettere sulla natura di una musica sia utile per apprezzarla ancora di più. Tu hai cercato una definizione?

 Andrea Benedetti: Anni fa facevo un programma a Radio Città Futura e mi piaceva dare questa definizione “La zona grigia fra dance e sperimentazione”. Ecco credo che si possano far convivere queste due esigenze e cioè ballare e quindi liberare il corpo e sperimentare. Il ballo è risposta istintuale al groove, al beat. Se ci affianchiamo delle variazioni dagli schemi conosciuti aggiungiamo una parte di riflessione durante il ballo che fa comunicare i nostri due emisferi cerebrali, rendendo completa l’esperienza del ballo o dell’ascolto della musica. Questa è per me la chiave di interpretazione migliore del termine techno.

 B-SIDES: Quanto è presente la cultura nera nella techno? In che modo è possibile declinare questo genere al di fuori di quella cultura?

 Andrea Benedetti: La musica nera è parte della cultura di Detroit dove è nata la Techno: il soul della Motown e il funk dei Funkadelic erano la colonna sonora di questa città negli anni ’60 e ‘70. La Techno è il risultato del clash culturale fra quella cultura musicale e l’incontro con la musica che faceva parte della cultura musicale bianca come la new wave e l’italo disco con in sottofondo la disfatta industriale dell’industria automobilistica che era la colonna portante economica della città. Questa situazione economica ha creato un degrado sociale e urbano che per fortuna, grazie ad alcuni ispirati musicisti e dj, invece di generare pura ribellione ha creato una musica fisica, non escapista, ma propositiva che rappresentava il futuro ideale che la realtà non poteva offrire. Per cui le due istanze per me sono una parte dell’altra seppure apparentemente non udibili. Senza una non sarebbe avvenuta l’altra. Tutto questo in Europa è avvenuto molto meno proprio perché non avevamo quel background musicale funk e soul così insito nei nostri geni, anche se ci sono stati artisti europei che lo hanno compreso.

B-SIDES: Il tuo libro è sostanzialmente diviso in due: U.S.A. (con Detroit a farla da padrona) e Italia (e qui è Roma a dominare). Cosa distingue l’Italia dagli U.S.A.? Esiste un mood italiano, una via italiana all’elettronica e alla techno che sia possibile identificare?

Andrea Benedetti: Per tutto quello che ho detto prima l’Italia si distingue dagli USA per la sua storia musicale pregressa. Noi non abbiamo mai avuto una profonda cultura soul, funk o elettronica. Chi ha fatto queste scelte in Italia lo ha fatto prendendo dall’esterno per cui il nostro mood è meticciato al massimo e piuttosto derivativo, ma per questo molto originale. E infatti gli esempi di musica elettronica e techno italiana hanno una loro, magari piccola, ma importante parte della scena mondiale, dalla funk wave dei Gaznevada o i N.O.I.A. alla proto house e proto techno di Alexander Robotnick o la new wave dei Pankow per poi arrivare alla scena techno romana, da Lory D a Leo Anibaldi o dai D’Arcangelo a Marco Passarani.

Abdul Khadim Haqq TECHNO ART
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 B-SIDES: Techno è musica da ballare. Nessuno sarebbe così pazzo da negarlo. Però a me è sempre sembrato che nei migliori esempi fosse anche una musica da ascolto, magari per orecchie un po’ anomale come le mie, ma ho spesso percepito in alcuni musicisti una forte tendenza alla sperimentazione che non può essere fruita in un club o una discoteca.

 Andrea Benedetti: Sono assolutamente d’accordo. Tutta la scena più melodica della techno, dalle prime produzioni di Carl Craig e Derrick May per poi passare alle controparti europee come B12, Kirk Degiorgio, Black Dog, Terrace e la successiva scena cosiddetta IDM come Aphex Twin, Autechre, Plaid, Boards of Canada ed altri come i nostri D’Arcangelo e Passarani, sono esempi di un approccio più musicale alla composizione sia ritmica che melodica. Si tratta di artisti che partiti dalla techno come incontro fra groove e sperimentazione hanno poi sviluppato un genere che può dirsi a sé stante e che ancora non ha una sua esatta collocazione musicale, ma che ha ispirato sia a livello melodico che ritmico, magari involontariamente, molti altri artisti come Moderat/Apparat, Nicholas Jaar o James Blake.

Abdul Khadim Haqq TECHNO ART
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B-SIDES: Brescia, la mia città, è molto conosciuta per le discoteche pionieristiche del lago di Garda e per alcune etichette discografiche storiche come la Media Records. Per quello che è la mia esperienza però, dal punto di vista della qualità musicale e soprattutto della ricerca non mi sembra ci siano state le eccellenze di Roma e Napoli. Insomma, un Lory D a Brescia non c’era… Dato che sei romano e sei stato protagonista di quella scena non so quanto puoi essere obiettivo ma vorrei una tua opinione.

Andrea Benedetti: Io ho sempre avuto grossi problemi con la scena dance italiana e con etichette tipo la Media perché fondamentalmente non ho mai visto in questi progetti grande sincerità musicale che per me è fondamentale. Cioè puoi anche fare la musica più diversa da quella che mi piace, ma se dietro c’è una vera passione, alla fine ti rispetto. Ognuno fa il suo. Punto. Invece la scena dance italiana ha sempre avuto questa dinamica derivativa e opportunista nell’usare generi pre-esistenti, dal funk alla disco negli anni ‘70/’80 per poi passare agli anni ’90 ad house e techno. Se ciò è anche normale non avendo avuto noi una grande scena elettronica e funk come ho detto prima, la cosa che ho sempre trovato limitante è stata quella di usare questi generi solo per cavalcare l’onda e invece non come punto di partenza per andare oltre e in questo credo che la scena romana sia stata un ottimo esempio.

 B-SIDES: Oggi, a più di trentanni dall’avvento della techno questa musica forse non è più territorio di sperimentazioni e di sogni di un futuro sconosciuto. Parallelamente a questo alcuni grandi DJ come Derrick May o Carl Craig suonano insieme ad orchestre in teatri prestigiosi o si dedicano a rielaborare brani di musica classica con la Deutsche Grammophon. Questo fenomeno è una sorta di musealizzazione della techno, musica che, come è accaduto al rock, ad esempio, inevitabilmente ha perso la sua forza deflagrante. Sembra proprio che ci sia stata una parabola che ha avuto il suo culmine nel decennio 1985-1995 e poi ha incontrato una crisi. O forse è solo il tempo che è passato a farci vedere le cose in questo modo? Insomma, c’è qualche musicista o disco che ritieni necessario anche oltre quel decennio?

 Andrea Benedetti: Questo è un discorso molto complesso perché la natura insita della musica elettronica dovrebbe essere quello dell’evoluzione in funzione anche degli strumenti a disposizione, mentre invece oggi assistiamo ad una sempre maggiore carenza di idee rispetto invece alla grande quantità di software e strumenti a disposizione rispetto a trent’anni fa. Credo che ci siano due elementi da sottolineare. Il primo è che il musicista elettronico ha ancora un complesso di inferiorità nei confronti della musica suonata, sia classica o pop, che lo porta poi a fare scelte tipo quelle di cui parlavi te che, se potevano essere interessanti se realizzate come esperimento (penso al primissimo live con orchestra di Mills oppure al progetto di Craig con Deutsche Grammophon che citavi), in alcuni casi si sono rivelati repliche di progetti simili avvenuti negli anni ’80 con il rock e l’orchestra, alcuni veramente kitsch. Poi alcune cose possono avere senso ovviamente. Tipo ‘Strings of life’ può risultare una bella sfida a livello musicale con un’orchestra, ma certi brani di Mills molto meno ad esempio. Insomma va bene come esperimento se ha un senso, ma non come ideale punto di arrivo di una carriera o come sottomissione alla musica delle sette note perché io non vedo questa dicotomia, ma semmai un viaggiare in parallelo.

Il secondo punto è che per me non si è storicizzato a sufficienza, invece, quello che sarebbe stato utile storicizzare e cioè la storia della genesi della techno, le sue radici nere, il rapporto con alcuni specifici strumenti, le modalità di registrazione e composizione così diverse dalla musica suonata, insomma cose che ad esempio sono state fatte per altre musiche popolari come il rock. Alcuni mi hanno detto che, ad esempio, la storicizzazione del punk lo ha sostanzialmente ucciso, ma è anche vero che la storia e l’ideologia del punk è più o meno chiara a tutti, mentre la techno resta per molti ancora un contenitore indefinito in cui stanno tanto Carl Cox che Underground Resistance o i Chemical Brothers e Robert Hood. E se sembra esagerato, perché magari la vediamo da un punto di vista ristretto legato alle nostre amicizie o alla nostra bolla su Facebook, in realtà se si esce fuori da quei confini, e mi è capitato tante volte durante le presentazioni del libro sia nella prima edizione che in questa, ci si rende conto che c’è ancora molta ignoranza, nel senso proprio del non sapere. Parlo ovviamente dell’Italia e, anche se rispetto a tanti anni fa il numero dei giornalisti che hanno le giuste info basilari è molto cresciuto, secondo me c’è ancora molto da fare.

Riguardo i musicisti o produttori dj da considerare o perlomeno da seguire ce ne sono tanti: Mark Flash, Nomadico, Shawn Rudiman, Michael Dehnert, Dave Tarrida, Gary Martin, per dire i primi che mi vengono in mente, ma bisogna cercare molto e spulciare su Bandcamp, Soundcloud e i vari negozi, fisici ed online.

Abdul Khadim Haqq TECHNO ART
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 B-SIDES: Un elemento molto interessante e pochissimo studiato della musica techno è la fortissima aspirazione utopica di molti dei musicisti e quindi dei pezzi, spesso intrecciata con la letteratura di fantascienza. Quali sono gli elementi più evidenti di questa influenza?

Andrea Benedetti: È vero ed è una cosa poco sottolineata. Tantissimi artisti e dj che ho conosciuto amavano la fantascienza sia a livello di romanzi che di fumetti o graphic novel. Magari è più evidente a livello grafico con riferimenti a mondi futuri, robot e altro come il lavoro fatto da Abdul Haqq, ma c’è sicuramente un riferimento anche teorico. Sicuramente il concetto di utopia in generale è stato molto evidente agli inizi per poi lasciare spazio alla distopia. Siamo passati da Asimov a Dick in sostanza e credo che invece dovremmo recuperare più autori alla Le Guin. Il nichilismo è ormai mainstream per cui la vera sfida è essere propositivi e utopisti senza essere necessariamente moralisti, religiosi o conformisti.

B-SIDES: In questo libro sei riuscito ad unire tutte le tre persone che si sono occupate seriamente di techno con un libro: Claudia Attimonelli (il cui saggio techno: Ritmi Afrofuturisti tornerà a breve in libreria per Meltemi) e Christian Zingales che è autore di una sorta di remix editoriale del tuo libro!

Andrea Benedetti: Sì! Questa è una delle più grandi soddisfazioni di questa nuova edizione del libro ed è ampiamente condivisa anche dagli altri due autori.

Abdul Khadim Haqq TECHNO ART
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B-SIDES: Come sempre quando intervisto qualcuno su un argomento specifico mi piace concludere uscendo dall’argomento. Quali sono i tuoi musicisti preferiti al di fuori della techno? E al di fuori della musica elettronica?

Andrea Benedetti: Io amo tanto il funk che la musica più intimista come l’ambient. Per me la musica è lo specchio delle mie emozioni per cui sarebbe ridicolo ridurla a due o tre stili o autori visto che noi viviamo tantissime differente emozioni ogni giorno. D’altra parte è difficile trovare un artista che mi piaccia sempre al 100% per cui sento tantissime cose. Magari di un’artista mi piace solo una traccia. Ad esempio c’è un produttore di Los Angeles che si chiama Gunjack che fa sia hip hop che della strana techno da cui ogni tanto pesco pezzi bellissimi. Poi ho trovato alcune belle cose funk nuove su tre etichette, la Neon Finger di Madrid, la MoFunk di Los Angeles e la R2 di Londra. Invece a livello ambient la mia preferita resta la romana Glacial Movement che ha fatto uscire uno dei dischi ambient più belli del 2017 ovvero “Epilogues for the end of the sky” di BVDUB e con cui uscirò entro il 2018 con un album ambient a nome Frame, un progetto multimediale che avevo con Eugenio Vatta, mio grande amico e grandissimo musicista.

B-SIDES: E per uscire ancora di più dall’argomento e per approfondire i tuoi gusti e tensioni ecco la domanda fatidica quali sono i tuoi libri, film e fumetti preferiti? Sono molto curioso…

Andrea Benedetti: Non è facile fare una lista esaustiva perché si lascia sempre fuori qualcosa come un dj set da un’ora. Ci provo. Quando ero più piccolo sono cresciuto con alcune serie TV come “Il prigioniero” con Patrick McGoohan, “Zaffiro e Acciaio” con David McCallum e Joanna Lumley e “Ai confini della realtà” oppure film come “Rollerball” di Norman Jewison, “Blade Runner” di Ridley Scott, “L’australiano” di Jerzy Skolimowsky, “Quinto Poteredi Sidney Lumet e ovviamente “2001” di Stanley Kubrick. Recentemente ho amato molto “Westworld” (ero innamorato anche del primo film di Crichton), “Annhilation”, “Black Mirror” e anche alcuni episodi di “Electric Dreams”. Per quanto riguarda i libri quelli che mi hanno colpito da ragazzo sono stati “La nausea” di Sartre, “Blade Runner storia di un mito” di Sammon  e “Ubik” di Philip Dick. Ultimamente sto leggendo alcuni libri dell’economista Ernesto Rossi, Mark Fisher, l’autobiografia di Marco Pannella, Susan Sontag e “Post Punk” di Reynolds. A livello di fumetti la situazione è complessa perché sono troppi. Il mio mito da ragazzo era Jack Kirby e la saga della bomba della follia e delle battaglie del Bicentenario per Capitan America mi colpirono tantissimo come anche il lavoro di Jim Steranko su Nick Fury e Capitan America o Neal Adams sugli X-Men. John Buscema è stato un riferimento per anni e il suo lavoro per Silver Surfer resta una delle vette inarrivabili del disegno popolare. Poi ho amato tutta la ventata innovativa degli autori inglesi da Alan Moore a Grant Morrison o Peter Milligan come anche autori iconoclasti come Warren Ellis (“Trasmetropolitan” oppure “Trees”) o Garth Ennis (“Preacher”). Ultimamente ho amato molto “All Star Superman” di Morrison e Quitely che per me è il disegnatore più iconico di questo millennio, ma anche autori come Rick Remender, Jonathan Hickman e Jeff Lemire e disegnatori come Nick Dragotta, John Cassaday, David Aja, Stuart Immonen, Dustin Nguyen, Goran Parlov, Mike Allred e il nostro Lorenzo LRNZ Ceccotti.

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B-SIDES: Beh, trovare tanti nomi presenti anche nel mio sancta-sanctorum personale è davvero un piacere…

Un’ultimissima domanda, quella definitiva che forse è banale ma è sempre da fare: qual è il futuro della techno? Ci sarà mai la possibilità di reincontrare una musica così sperimentale e popolare insieme? Questa musica che era il futuro forse oggi non può rinascere proprio perché è lo stesso futuro, inteso come tensione e speranza, ad essere scomparso dal nostro orizzonte?

Andrea Benedetti: Negli anni ’90 il futuro era in divenire, mentre ora il futuro è il presente ed i cambiamenti sono in tempo reale. È quindi più difficile dare una sensazione di futuro, ma ci sono tanti artisti che continuano a farlo e io ho deciso di dare loro spazio. Da Settembre farò un nuovo programma su U-FM – www.u-fm.it – in cui presenterò ogni settimana un artista e la sua musica. Ci saranno tanti nomi italiani, ma anche stranieri ed alcuni nomi veramente importanti. E ci saranno tante ragazze che stanno facendo un lavoro meraviglioso in questa scena

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B-SIDES: Grazie di questa bellissima intervista e grazie per tutto quello che hai fatto e stai facendo, con la serietà e la sincerità con cui lo fai!

 

Mondo Techno” di Andrea Benedetti è acquistabile in tutte le librerie e online (anche dal sito della casa editrice).

 

MONDO TECHNO.
Christian Zingales Remix
Andrea Benedetti
Stampa Alternativa – Sconcerto (nuova serie)
2018 – pp. 152 – € 15
ISBN 9788862226219

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