XXX – Play, men! Un panorama della stampa italiana per adulti

PLAY MEN …La prima vera rivista sexy italiana alla quale fece seguito l’altrettanto celebre «Playmen», edita dalla moglie (poi ex) Adelina Tattilo.

Play Men
Play Men – Giovanna Maina

Nel 1966 uscì il primo numero di «Men», edito dal grande editore d’assalto Saro Balsamo. Fu una rivoluzione. La prima vera rivista sexy italiana alla quale fece seguito l’altrettanto celebre «Playmen», edita dalla moglie (poi ex) Adelina Tattilo. Oggi, a 15 anni dalla morte di Balsamo, viviamo in un altro mondo. È molto difficile ricostruire quale atmosfera si respirasse in Italia in quegli anni. Le riviste per adulti nate negli anni sessanta mutarono una prima volta, intorno al 1975, per diventare riviste hard. Negli anni novanta, piano piano inizarono a sparire (Playmen chiuse nel 2001), talvolta riducendosi a semplici fascicoli di supporto a videocassette o DVD. La stessa pornografia per come la conoscevamo ha attraversato, grazie alla rete, una rivoluzione che se da una parte l’ha cambiata per sempre, dall’altra ne ha moltiplicato la presenza e la possibilità commerciale.

È molto difficile ricostruire la storia di queste riviste, dicevo. Fortunatamente ci sono alcuni libri, come quelli imperdibili di Gianni Passavini e Dario Biagi, che hanno raccontato la vita di Saro Balsamo e Adelina Tattilo. Mancava un panorama completo della produzione editoriale delle riviste sexy. Ce lo offre ora Giovanna Maina per le edizioni Mimesis. Maina ha pubblicato almeno due libri importanti: Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, curato insieme a Federico Zecca e Enrico Biasin, libro fondamentale sul tema edito da Mimesis nel 2011 e Corpi che si sfogliano. Cinema, generi e sessualità su «Cinesex» (1969-1974), raro studio su una singola collana di cineromanzi, pubblicato da ETS). Ho voluto intervistarla perché ritengo che i suoi studi siano molto preziosi e ricchi di considerazioni appassionanti su un ambito ancora poco studiato.

PlayMen
PlayMen

logo bsidesmagazineB-SIDES: Qual è il tuo percorso di ricercatrice? Come hai approcciato lo studio dell’editoria sexy e del porno?

Play menGiovanna Maina: Anzitutto ti ringrazio sinceramente per l’attenzione che dedichi al mio libro e a questo particolare settore dell’industria culturale più in generale. Per quanto riguarda la mia “storia” di ricercatrice… diciamo che ho sempre avuto la passione per ciò che si trova “a margine”, per testi e contesti considerati in un certo senso estremi. Durante il periodo dell’università (a Pisa, negli anni Novanta), insieme a un gruppo più o meno fisso di “maniaci” ci sottoponevamo a folli sessioni visive che andavano da Herschell Gordon Lewis agli horror di Sergio Martino, dal Cinema of Transgression di Nick Zedd alla Troma, senza disdegnare anche incursioni nel porno (in quel periodo eravamo tutti in fissa con Latex di Michael Ninn), e così via. Perciò, quando (un bel po’ di anni fuori corso…) si è trattato di decidere l’argomento della mia tesi di laurea, in Storia e Critica del Cinema… ovviamente mi sono rivolta verso questo tipo di materiali, decidendo alla fine di studiare il cinema erotico francese d’autore (Alain Robbe-Grillet, Walerian Borowczyk e compagnia bella). In quegli stessi anni, gli studi di cinema in Italia stavano (ri)scoprendo l’importanza dei materiali extra filmici, come ad esempio tutti i paratesti (locandine, rotocalchi a tema cinematografico, ecc.). In particolare, avevo letto i lavori di alcuni studiosi, come Lucia Cardone, Raffaele De Berti, o Ruggero Eugeni, tra gli altri, che stavano cominciando a esplorare in modo estensivo le novellizzazioni (trasposizioni dei film in cineracconti o cineromanzi). Questo tipo di ricerche mi affascinavano molto ed è anche per questo motivo che ho scelto di lavorare per il mio progetto di dottorato sui cineromanzi erotici, in particolare su «Cinesex». Per farla breve, è da quelle ricerche che sono nati i miei due libri.

Per quanto riguarda invece il porno in senso più ampio… anche in quel caso un po’ è stato un interesse pregresso, un po’ devo dire il senso di insoddisfazione che mi prendeva quando andavo ai convegni dove si parlava di nuove tecnologie e veniva fuori che Internet era un posto frequentato da artisti e attivisti… e nessuno mai che nominasse l’elefante nella stanza… il porno! Quindi, quello specifico interesse di ricerca è nato forse (almeno parzialmente) a causa della mia natura di bastian contrario. Lì comunque è stato fondamentale l’incontro nel 2009 con Enrico Biasin e Federico Zecca, con i quali abbiamo poi inaugurato la sezione Porn Studies della International Film Studies Spring School di Gorizia, un convegno annuale dove si riuniscono studiosi e studiose da tutto il mondo per parlare di vari argomenti, tra cui (dal 2010) anche il porno.

Super Sex n.13
Super Sex n.13 – La piovra di Pigalle
Supersex n.4
Supersex n.4

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Quanto è difficile ricostruire la storia delle pubblicazioni sexy in Italia?

Play menGiovanna Maina: È molto difficile. Anzitutto è una questione di reperibilità. Per ovvie ragioni, molti di questi materiali non sono mai stati considerati degni di essere conservati e catalogati in biblioteche e archivi. Fanno eccezione certamente le riviste più famose, come «Men», «Playmen» e la versione italiana di «Playboy» di cui si trova traccia in qualche biblioteca (seppure con lacune). Un caso fortunato è quello dello stesso «Cinesex», che è quasi interamente raccolto alla Bibliomediateca Mario Gromo del Museo del Cinema di Torino… grazie all’intelligenza della fondatrice Maria Adriana Prolo e dei suoi successori, che hanno intuito la fondamentale importanza storica dei materiali diversi dal film, come appunto i cineromanzi. Ma per il resto… bisogna avere soldi da investire e comprare i materiali. Il che non è sempre possibile.

Playmen
Playmen

L’altro problema è legato a una caratteristica costitutiva delle imprese editoriali che facevano capo a questo settore: spesso si trattava di avventurieri che operavano al limite della legalità, con direttori responsabili prestanome, con collaboratori che lavoravano sotto pseudonimo, con frequenti scambi di personale tra una redazione e l’altra, ecc. E, nella maggior parte dei casi, di queste realtà non resta più traccia al giorno d’oggi. Questo sottobosco è descritto molto bene nelle ricostruzioni di Passavini e Biagi…logo bsidesmagazineB-SIDES: Chi sono i primi (tra i pochi studiosi) che hanno indagato questo ambito editoriale? Mi viene in mente Vittorio Spinazzola, recentemente scomparso.

Play menGiovanna Maina: Certamente Spinazzola è stato un maestro fondamentale per tutti coloro che si occupano di “popolare”. Testi come L’immaginazione divertente o Cinema e pubblico sono una specie di Bibbia per chi come me si interessa a determinati argomenti che hanno a che fare con la cultura (che qualcuno definirebbe) “bassa”. Uno tra i primi a prendere sul serio questa produzione di largo consumo è stato comunque lo storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle, che a inizio anni Settanta aveva organizzato a Parma due mostre, una dedicata ai fumetti “neri” e l’altra ai settimanali… i cataloghi di queste due mostre sono ancora oggi fonte di dati preziosissimi. In quel caso, tuttavia, l’approccio era fortemente politicizzato… quasi “adorniano”, direi… nel senso che Quintavalle inquadrava questi prodotti come un tentativo di irreggimentare e in un certo senso “borghesizzare” l’orizzonte desiderativo e le aspirazioni delle classi basse. Una prospettiva non troppo distante era stata adottata anche all’interno dei lavori, ormai famosissimi, che Umberto Eco e Omar Calabrese avevano dedicato più o meno negli stessi anni al fumetto nero. In ogni caso, per la prima volta degli intellettuali di indiscusso peso si erano presi la briga di analizzare e cercare di comprendere dei materiali generalmente considerati di scarsissimo valore culturale, quando non addirittura contrari alla “pubblica morale”, e che pure godevano di una vastissima diffusione.

supersex187
supersex187 – Supersex e il marchio di Satana

logo bsidesmagazineB-SIDES: Oltre ad un pregiudizio “morale”, quali sono i motivi che hanno fatto attendere molti decenni per vedere studi accademici sulle riviste sexy?

Play menGiovanna Maina: Beh, la risposta sarebbe molto complessa. Io non credo, ad esempio, che il problema sia di natura morale. Forse lo è stato in passato, ma di certo non in tempi recenti. A mio parere, il pregiudizio più grande che per molti anni ha impedito di studiare materiali come questi (ma un discorso analogo vale anche per molti altri prodotti afferenti all’alveo del popolare) è un preconcetto di natura prevalentemente estetica. In altre parole, oggetti come la rivista sexy o i film del filone Decamerotico o gli horror degli anni Ottanta (solo per fare degli esempi) venivano considerati assolutamente privi di qualsivoglia complessità stilistica, mancanti di qualsiasi intenzionalità autoriale (dei prodotti “orfani” verrebbe da dire, cioè in cui non si trovano tracce di un Autore con la A maiuscola), svuotati di qualsiasi “valore culturale” o politico… e per questo derubricati come spazzatura su cui non aveva alcun senso perdere tempo. Questo perché, almeno nell’ambito degli studi di cinema, in Italia ha faticato ad affermarsi una prospettiva di altro tipo, derivante dagli studi culturali anglosassoni… semplificando al massimo, mancava cioè una prospettiva che fosse capace di vedere nei prodotti della cultura popolare degli oggetti privilegiati per capire le società che li hanno prodotti, o per interrogarsi sulle dinamiche profonde delle industrie culturali. Per fortuna oggi non è più così, anche grazie al lavoro di studiosi come Giacomo Manzoli, che con il suo libro Da Ercole a Fantozzi ha posto le basi a livello teorico per lo studio del cinema popolare italiano… o Peppino Ortoleva, che in alcuni dei suoi lavori più recenti ha inserito la questione della “normalizzazione” della pornografia all’interno di uno studio organico della storia dei media. Oggi ci sono moltissime persone, a diversi livelli di “carriera”, che si occupano di temi una volta considerati ininfluenti. So che ad esempio un collega dell’Università di Genova sta scrivendo una monografia su «Playmen»… mi sa che ti toccherà intervistare anche lui…

Vorrei però fare una precisazione. Ovviamente quando dico “studiare” non sto parlando di “rivalutare” determinati materiali… cioè a me non interessa dire che Umberto Lenzi è un Autore tanto quanto Michelangelo Antonioni, o che «Playmen» è una rivista di grande valore letterario… questo è davvero un approccio che non mi è proprio. Sono cioè convinta che una prospettiva “rivalutativa” di questo tipo sia abbastanza inutile… anzi, in un certo senso controproducente… in quanto ancora basata su di una dinamica alto/basso (cioè sul dare valore a qualcosa che viene considerato basso semplicemente “innalzandolo” verso zone di canonizzazione alle quali continuiamo comunque ad attribuire valore) che credo vada superata. Perché in fin dei conti non aiuta a capire veramente il lavoro di certi registi o l’importanza di determinati prodotti culturali… se ci limitiamo a dire che il tale regista è un Autore, o che il tale film è un capolavoro secondo me non andiamo a fondo di una serie di cose… sono etichette, niente di più.

 

Cinesex
Cinesex

logo bsidesmagazineB-SIDES: Il ruolo che hanno ricoperto le riviste sexy nel diffondere valori femministi di libertà del piacere e del corpo femminile è controverso. Qual è il tuo punto di vista?

Play menGiovanna Maina: Anche su questa questione si potrebbe parlare per ore. In estrema sintesi, l’emersione del corpo e della sessualità femminile sulle riviste e sui fumetti sexy di quegli anni sembra un po’ una promessa tradita. Da una parte infatti per la prima volta il corpo delle donne acquistava assoluta centralità e si toccavano esplicitamente determinati temi scottanti per l’epoca (come l’orgasmo o l’omosessualità femminile) all’interno di prodotti popolari di largo consumo. Dall’altra però spesso venivano messi in atto dei processi di “neutralizzazione” del potenziale rivoluzionario di determinati discorsi. Mi spiego meglio. Nel pocket erotico, per esempio, eroine come Isabella, Jolanda, Jacula, Messalina o Biancaneve (tanto per fare alcuni nomi, ma l’elenco sarebbe lunghissimo) erano diciamo “prigioniere” di un complicato meccanismo di negoziazione tra tradizione e modernità. Se è vero infatti che erano presentate come perfetti oggetti dello sguardo maschile, sempre (semi)nude, costantemente impegnate in maratone sessuali e dedite alle più straordinarie perversioni, è anche vero che questi stessi personaggi erano rappresentati come assolutamente indipendenti dai personaggi maschili… a livello emotivo e sessuale, certo, ma anche e soprattutto a livello narrativo (dato che erano proprio loro, e non i loro comprimari maschi, il vero motore delle storie). E tuttavia, questa affermazione di indipendenza femminile era mitigata dal fatto che le vicende di queste eroine erano collocate in un altrove spazio-temporale (periodi storici lontani, le fiabe, la giungla…) completamente scollegato dal presente dei lettori (e soprattutto delle lettrici) dell’epoca… in un altro mondo, insomma.

Una cosa simile accadeva con le riviste. Mai prima di quel momento il corpo delle donne era stato così entusiasticamente magnificato, esaltato, reso oggetto di contemplazione estetica. Mai come su quei settimanali e mensili si era potuto parlare di sessualità femminile (nelle rubriche di posta dei lettori, soprattutto, ma anche negli articoli e nelle interviste), andando a toccare tasti dolenti come la verginità, la fedeltà, la ricerca del piacere. Allo stesso tempo però questi discorsi venivano spesso inquadrati in una specie di schema “patologizzante” non percepibile a una lettura distratta. In altre parole, il desiderio e il piacere femminile erano proposti ai lettori in termini di “eccesso” ed esagerazione… soprattutto nelle lettere delle lettrici, che erano veramente un catalogo di parafilie degno della Psychopathia sexualis di Krafft-Ebing. In questo modo, quindi, la libertà sessuale delle donne veniva sostanzialmente limitata a precise categorie (nemmeno troppo) velatamente connotate in senso negativo: le lesbiche, le ninfomani, le amanti pedofile, le madri incestuose, le frigide “guarite”, le ragazze molto giovani e magari straniere, e così via. Insomma, le donne erano legittimate come esseri “sessuali” … ma solo all’interno di spazi ben delimitati e, in fin dei conti, separati da una supposta idea di “normalità”.

Super Sex n.4
Super Sex n.4 . – Il missile Derrault

Detto questo, è pure vero che quelle riviste e quei fumetti avevano avuto la loro parte (in questo modo un po’ sghembo, se vogliamo) all’interno di una complessa configurazione di discorsi e pratiche circolanti in quegli anni nella società italiana, discorsi e pratiche che finalmente ponevano in modo esplicito il “problema” della sessualità femminile.logo bsidesmagazineB-SIDES: Quale evoluzione delle caratteristiche estetiche, fotografiche e stilistiche puoi individuare nelle fotografie di nudo delle riviste sexy italiane?

Play menGiovanna Maina: Sinceramente non mi sono occupata dell’aspetto fotografico in senso stretto, non essendo io un’esperta di fotografia… sarebbe un lavoro interessantissimo… speriamo che prima o poi qualcuno con le adeguate competenze lo faccia! Quello che ti posso dire è che senz’altro c’erano delle differenze abissali tra riviste appartenenti a fasce di consumo diverse e con diverse ambizioni culturali. Sulle prime annate di «Men» e sui mensili più patinati e costosi – non solo «Playmen», ma anche «Kent», «Executive», o l’edizione italiana di «Playboy», solo per fare alcuni esempi – i servizi fotografici avevano firme prestigiose, come quella di Angelo Frontoni, Mimmo Cattarinich, Mario Dondero, Frank Horvat, Chiara Samugheo, Pierluigi Praturlon, e molti altri. Mentre nelle riviste legate a un consumo (mi si passi l’espressione) più basso, le fotografie venivano probabilmente comprate da agenzie straniere, spesso anche riciclando gli stessi servizi su testate diverse. È chiaro che l’effetto estetico era differente. Dove da una parte avevi una ricerca in senso espressivo (che a volta sfociava però anche in esagerazioni porno-kitsch auto-nobilitanti, come aveva notato già all’epoca Ugo Volli), dall’altra c’era una sorta di standardizzazione formale finalizzata soprattutto a far vedere il meglio possibile i corpi delle modelle, senza troppi fronzoli artistici…

Super Sex n.4
Super Sex n.4 – sequenze dall’inconsapevole gusto ballardiano
Super Sex n.4
Super Sex n.4 Super Sex n.4 – sequenze dall’inconsapevole gusto ballardiano

logo bsidesmagazineB-SIDES: Ugo Volli parlava di “eufemismo” a riguardo del tentativo di innalzare goffamente il contenuto erotico o pornografico delle riviste sexy forzandone la natura artistica o accostandovi testi pseudo-poetici o finto-colti. Una cosa simile (e esilarante) succedeva in una TV locale che nei primi anni novanta trasmetteva immagini erotiche con un commento off in cui un attore recitava Kant, Hegel o altri filosofi…

Play menGiovanna Maina:

Non me la ricordo… mi piacerebbe vederla!

logo bsidesmagazineB-SIDES: Uno dei molti temi cui accenni nel libro è il legame dell’editoria sexy nel periodo da te studiato (1866-1975) con la destra italiana o comunque con l’area conservatrice.

Play menGiovanna Maina: Diciamo che, più che un legame vero e proprio, su quelle riviste era interessante la composizione delle varie redazioni, come raccontano benissimo Passavini e Biagi nei loro libri. Prendiamo il settimanale capostipite, «Men». Nella prima redazione lavoravano diversi giornalisti e intellettuali appartenenti a una cultura di destra più o meno dichiaratamente nostalgica.

Il direttore operativo Marcello Mancini e il caporedattore Luciano Oppo arrivavano entrambi da “Lo Specchio”, probabilmente il più influente settimanale conservatore degli anni Sessanta. E da lì avevano preso molti dei loro collaboratori. Per esempio Pier Francesco Pingitore, uno dei fondatori del Bagaglino. Oppure figuri del calibro di Gianfranco Finaldi ed Enrico de Boccard, che erano stati tra gli organizzatori del famigerato Convegno dell’Hotel Parco dei Principi nel 1965 – secondo alcuni uno dei luoghi di elaborazione teorica della cosiddetta “strategia della tensione”. O ancora il mitico Giò Stajano, gay dichiarato e nipote del gerarca fascista Achille Starace.

Dal 1968, però, il capo redattore era cambiato: a Oppo era subentrato Aldo Nobile, che veniva invece da «Paese Sera». E con lui si erano aggregati alla redazione personaggi come Leoncarlo Settimelli, che lavorava a «L’Unità», o Silverio Corvisieri, che veniva anche lui dallo stesso quotidiano ed era stato cofondatore di Avanguardia Operaia, o come Paolo Brogi, uno dei fondatori di Lotta Continua.

Eppure, incredibile a dirsi, nonostante questa strana mescolanza, il taglio della rivista era più progressista che reazionario, nel complesso.

Una simile commistione riguardava più o meno anche le altre riviste. Fa ridere che su «Playmen», per esempio, tra gli “intervistati” illustri potevi trovare nel 1968 Herbert Marcuse e nel 1970 Julius Evola!

Se poi invece volessimo parlare della relazione simbolica tra determinati materiali (ad esempio pocket erotici come «Goldrake», «Hessa» e simili) e un immaginario retrivo e spesso vagamente neo-fascista… beh, già se ne erano accorti Quintavalle, Eco e Calabrese…

Pleymen
Pleymen Dicembre 1977 – Si parla del film “Interno di un convento” di Walerian Borowczyk

logo bsidesmagazineB-SIDES: Sei anche collezionista di riviste? Quali sono le tue scoperte più interessanti fatte magari in una bancarella?

Play menGiovanna Maina: Non mi definirei una collezionista. Per forza di cose, possiedo diverse annate delle riviste che ho studiato, ma non ho la pazienza e la meticolosità che necessitano per il collezionismo. Diciamo che mi levo qualche sfizio quando trovo qualcosa di interessante. In particolare c’è una bancarella dove andiamo sempre con mio marito quando passiamo da Trieste… ci stiamo delle mezz’ore, scartabellando tra mille diversi tipi di riviste fino a farci le mani nere di polvere. Riviste erotiche italiane anni Settanta, magazine americani anni Ottanta e Novanta, fotoromanzi, fumetti, di tutto e di più… e facciamo ovviamente la figura dei pervertiti. L’ultima volta che ci siamo stati, per esempio, abbiamo comprato diversi numeri di Adam, magazine statunitense su cui scriveva anche Annie Sprinkle… in uno di quelli che abbiamo scelto c’è un’intervista ai Dark Brothers su New Wave Hookers, uno dei miei cult. Ma il mio investimento (economico e “affettivo”) non va molto oltre.

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Quali sono i progetti a cui stai lavorando in questo momento?

Play menGiovanna Maina: Varie cose, che in generale hanno a che vedere con lo studio del divismo femminile. In particolare, mi interessa cercare di capire cosa è successo ad alcune importanti attrici del cinema italiano quando sono diventate vecchie. Che tipo di ruoli hanno interpretato, come è stata rappresentata (o NON rappresentata) la loro sessualità…

logo bsidesmagazineB-SIDES: Le riviste sexy univano spesso autori e contributi alti (o finto-alti) a sciatterie e vere e proprie truffe (ad esempio alcune interviste false ad attori o celebrità. Quali sono i servizi o gli articoli che, nonostante la qualità magari scadente, sono più significativi nel raccontare qualcosa dell’Italia degli anni ’60/’70?

Play menGiovanna Maina: Beh sarebbe impossibile trovare degli esempi effettivamente più significativi di altri. Mi spiego meglio. Diciamo che secondo il mio punto di vista ognuno degli articoli che si leggono su queste riviste ci racconta qualcosa dell’Italia di quegli anni. Pure gli articoli-truffa, o quelli completamente campati in aria… che ne so, le rubriche di astrologia sessuale su «Kent» o le recensioni delle razze di cani su «King»… anche in questi casi, a voler leggere tra le righe, ci vengono fornite informazioni sulla società e la cultura dell’epoca, sulle mode, sugli argomenti all’ordine del giorno, su vizi, sulle simbologie, sui miti, sulle paure… in una parola: sugli immaginari. Certo, ci sono articoli più seri, documentati e “politici” di altri. Solo per fare un esempio, lo stesso Pingitore aveva scritto un articolo molto militante sul diritto di aborto in un numero di «Playmen» del 1971. Ma, ripeto, secondo me è dal complesso di discorsi prodotti e riprodotti su queste testate che si possono trarre i racconti più interessanti.

Super Sex n.16 – Operazione svastica

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Quale immagine maschile emerge dalle riviste sexy da te analizzate nel libro?

Play menGiovanna Maina: Anche in questo caso ci vorrebbe un altro libro. Sintetizzando (e purtroppo banalizzando) al massimo, è certamente un’immagine contraddittoria… di un maschio che aveva un po’ perso il piedistallo identitario che gli era stato fornito dalla società patriarcale dei decenni precedenti, e che, scosso dagli enormi cambiamenti in atto (prima il boom economico, poi la cosiddetta “rivoluzione sessuale” e la nascita dei femminismi), non sapeva esattamente come posizionarsi. Da una parte, alcune riviste più patinate cercavano di proporre l’immagine di un maschio di successo e al passo col proprio tempo, amante del bel vivere e dei beni di lusso, mediamente colto e capace di relazionarsi con un atteggiamento “moderno” al sesso e all’universo femminile… in modo non dissimile al modello che lo storico Sandro Bellassai definisce “mascolinità riformata”. Ma è davvero poco più che una proiezione. La realtà che sembra trasparire è, come ho detto prima, quella di una grande confusione… e, in un certo senso, di una “solitudine” del maschio italiano a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, che si stava vedendo sottrarre i tradizionali spazi omosociali dove la sua virilità era stata tradizionalmente prodotta e riaffermata (la piazza, il bar, il circolo). Queste riviste sembravano per così dire voler creare un sostituto virtuale a questo tipo di spazi, una stanza “tutta per loro” dove i lettori maschi potevano rintanarsi per sentirsi meno in balìa degli eventi.

logo bsidesmagazineB-SIDES:
Qual è la tua rivista preferita tra quelle di cui parli nel libro?

Play menGiovanna Maina: Sono banale. Certamente «Playmen», per la sua complessità, per la varietà di argomenti e temi, per i servizi su Carmelo Bene e Robbe-Grillet messi accanto senza pregiudizi di valore a quelli su Bruno Corbucci e Lucio Fulci. Ma se devo proprio essere sincera, la mia rivista preferita è senza dubbio «Cinesex», quella che ho studiato per il primo libro. Ha una ricchezza in termini di lavoro interpretativo – è insieme una rivista sexy, una rivista di cinema sexy, un cineromanzo sexy – che la rende veramente interessantissima. E poi ci sono delle perle… i cineromanzi tratti da film incredibili, come quelli di Renato Polselli e di Jess Franco, le recensioni di film mai girati o mai arrivati in post-produzione… Insomma, per chi ama il cinema di genere e le riviste sexy direi che «Cinesex» è davvero un piacere assoluto.

Play, men! Un panorama della stampa italiana per adulti (1966-1975)
Giovanna Maina
Mimesis
pp. 132 – € 12 – 2020

Super Sex
Super Sex

2 thoughts on “XXX – Play, men! Un panorama della stampa italiana per adulti

  1. Bella ed interessante intervista: non conosco il libro, mi riprometto di cercarlo.
    Noto con piacere che la maggior parte degli scan di Supersex sono quelli fatti dal sottoscritto, liberati in anni di duro lavoro al pc!
    Per leggere Supersex ci vuole una robusta dose di ironia, senza la quale la disanima di questo bizzarro periodo editoriale rischierebbe di perdere un’importante chiave di lettura. È proprio con questa dose di ironia che ho tentato, anche nel mio blog dedicato appunto a Supersex, di ricostruire le gesta (editoriali e non) di un personaggio che a cavallo fra gli anni 70 e la gli anni 80 in Italia era un vero mito, conosciutissimo da persone di tutti i ceti sociali. Proprio questa ironia mi ha portato, talvolta, ad inventarmi delle cover o delle pagine “fake”, con dei riferimenti a degli amici virtuali che mi seguivano sul web: ricade in questa categoria l’ultima cover di Supersex postata a fine articolo. Supersex #193 esiste, ma si intitola “Supersex e il segreto del ginecologo”. Avevo modificato la cover in “Supersex e il segreto di Gin” come omaggio al forumista Gin, che mi aveva ben accolto nel primo forum dove ero solito postare settimanalmente i miei lavori. Ma non state a cambiare la copertina adesso; in fondo anche questo è un (piccolo) segnale di come Supersex, a 40 anni di distanza, sia ancora vivo nei ricordi di chi quei giorni li ha vissuti in prima persona!
    Comunque Gin sta bene, segue sempre i vari aggiornamenti, e ringrazia per questo inaspettato colpo di notorietà che sfrutterà con sagace pervicacia al fine di ampliare il suo già ampio curriculum di conquiste femminili 🙂
    Un saluto e un grazie per l’articolo e per le informazioni a riguardo.

    pontellino

  2. Sono io che ringrazio te dell’incredibile lavoro che hai fatto! Il tuo blog è una delle cose che rendono grande il web, com’era alle origini. Ormai oggi è un’altra cosa da com’era tra la fine dei ’90 e l’inizio del millennio, quando si tecnologia e anarchia si incontravano promettendo cose incredibili.

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