La storia del film più odiato del mondo. Intervista a STEFANO LOPARCO.
Conosco Stefano Loparco come saggista da anni ma per un motivo o per l’altro avevo tardato ad acquistare il suo libro “Il corpo dei settanta.
Conosco Stefano Loparco come saggista da anni ma per un motivo o per l’altro avevo tardato ad acquistare il suo libro “Il corpo dei settanta. Il corpo, l’immagine e la maschera di Edwige Fenech” di cui avevo letto una bella recensione di Davide Pulici su Nocturno. Decisomi finalmente a prenderlo ho scoperto che era esaurito. L’autore, però, ne aveva ancora qualche copia e me ne ha generosamente spedita una! Che dire, un gesto molto apprezzato anche perché il libro è davvero unico e mi ha fatto scoprire un saggista che è anche un narratore, un sociologo e un grande rievocatore e pittore di epoche passate. E quindi mi sono lanciato nel recupero degli altri suoi libri, ad esempio “Del Paganini e dei capricci – Klaus Kinski” (2016) ma soprattutto i due libri che rappresentano la parte più importante delle sue ricerche, ovvero “Graffi sul mondo – Gualtiero Jacopetti” (2014), e “Passeggeremo ancora tra le rovine del tempio – Il cinema, la memoria, la morte: l’ultima conversazione con Gualtiero Jacopetti”, memoir scritto a quattro mani con il regista Franco Prosperi.
Colgo l’occasione dell’uscita del nuovo libro “Addio Zio Tom” dedicato al film del 1971 di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi e appena pubblicato da Gremese per fargli qualche domanda. Stefano Loparco presenterà il suo libro nell’ambito della rassegna Cinemarcord il 28 e 29 settembre a Milano presso i Frigoriferi Milanesi, un evento senza precedenti dedicato cinema di genere italiano con ben dodici ospiti dall’horror al cinema comico.
B-SIDES: Di te Claudio Bartolini, che ho intervistato da poco, dice che sei la memoria storica di Gualtiero Jacopetti, vale a dire di uno dei giornalisti e registi più forti e controversi della storia italiana, scomparso nel 2011 a 91 anni.
Stefano Loparco: Claudio è sempre benevolo con me. Certo, Jacopetti e il suo cinema rappresentano ormai un pezzo della mia vita, dieci anni di studi, ma in fondo rimango il più antijacopettiano degli jacopettiani. Detesto i santini, l’agiografia, i giudizi fideistici. Gualtiero era un uomo, e come tutti gli uomini, conteneva in sé una folla. Io ho solo individuato alcuni elementi della massa, mettendoli in luce. Credo di averlo fatto con scrupolo, dopo lunghe ricerche e senza mai banalizzare l’oggetto dei miei studi.
B-SIDES: Della tua scrittura apprezzo molto la tendenza a personalizzare, a portare le opere e il cinema che tu analizzi ad intrecciarsi con il tuo vissuto. Hai fatto questo soprattutto ne Il corpo dei settanta ma credo sia una tua costante in tutto il tuo lavoro. Sarà perchè non sei “un critico cinematografico”, come hai confessato recentemente sul tuo profilo Facebook?
Stefano Loparco: Grazie, Stefano. Un critico cinematografico ha molte più responsabilità di me, deve guardare tutto, comparare, discernere e, infine, attribuire un valore all’oggetto filmico. Io parlo dell’uomo, la sua vicenda biografica unica e irripetibile, ma della celebrità mi affascina il lato oscuro, il non detto, il rimosso. L’esempio è il Paganini di Klaus Kinski a cui ho dedicato un libro (“Del Paganini e dei capricci”, Il Foglio letterario, 2016). Ebbene, si tratta di un film scriteriato, perciò bollato dalla critica come spazzatura, ma la storia di un attore che cerca disperatamente il riscatto attraverso l’identificazione con Paganini e il suo genio – Kinski, un uomo fortemente suggestionabile, credeva di essere la reincarnazione del compositore genovese –, era straordinaria e andava raccontata.
B-SIDES: Per la collana I grandi Cult del cinema popolare di Gremese hai scelto un film veramente eccezionale per la storia produttiva e per quella critica e censoria, il vero simbolo del processo a Jacopetti e Prosperi e ai loro mondo movies, oggetto di una vera e propria damnatio memoriae. Non potevi dedicarti ad un lavoro più difficile.
Stefano Loparco: É stato un lavoro impegnativo, avvincente e a tratti frustrante; non smetterò di ringraziare Claudio per avermi consentito di realizzarlo. Perché “Addio zio Tom” chiama in causa l’osservatore odierno, lo costringe a misurarsi con sé stesso, tali e tanti sono i nodi morali da sciogliere. La critica dominante dell’epoca, spaccata sulla questione fascismo-antifascismo, ha emesso giudizi durissimi sull’opera, pari all’oscenità che ha ritenuto di aver visto: film razzista, reazionario, fascistissimo, è stato detto. Oggi, invece, scopriamo che quella pellicola, al grado zero dell’impianto cinematografico, mostra il vero ma lo fa attraverso un punto di vista ‘illecito’: perché Jacopetti e Prosperi, mettendo in scena le peggiori nefandezze cui può essere sottoposto un essere umano, non solidarizzano con gli schiavi – le vittime –, lasciandoli alla mercé di pingui possidenti terrieri – gli aguzzini –, stolti e irridenti. Manca la luce in “Addio zio Tom”; il nero è un pilucco della storia, ridotto allo stato bestiale. Così le mdp dei due dioscuri del cinema italiano ricostruiscono un ambiente storico bonificato dal male. La schiavitù è stata questa roba qui – sembrano voler dire Jacopetti e Prosperi –, e non c’è capanna dello zio Tom che tenga. No, posto così il progetto non poteva funzionare. Ma costituisce le fondamenta su cui i due cineasti hanno edificato il loro cinema: la fedeltà ai propri principi morali, in sprezzo all’opportunismo e, almeno in parte, al buon senso. Gualtiero e Franco volevano fare quel film. E quel film hanno fatto.
B-SIDES: Sei stato a contatto a lungo con Jacopetti e Prosperi e hai potuto conoscerli a fondo. Saresti in grado di tratteggiarne un veloce ritratto?
Stefano Loparco: Jacopetti era un protagonista; dinamico, carismatico, seduttore, amante dei riflettori e della bella vita; secondo Marina Cicogna, l’uomo più charmant del suo tempo, per Enrico Lucherini, il più affascinante, assieme a Marcello Mastroianni. Insomma, un bello e maledetto, dal carattere impossibile. Franco è un uomo di studi, riservato, pignolo, rigoroso; un vero intellettuale. Sulla carta, quell’unione avrebbe dovuto naufragare presto ma lo straordinario – e inaspettato – successo di “Mondo cane” ha mitigato le differenze e per almeno quindici anni la collaborazione ha dato i suoi frutti. Poi anche Franco, come quasi tutti i collaboratori storici prima di lui, ha voltato le spalle al suo leader per non guardarsi più indietro…
B-SIDES: Sei stato il primo ad aver approfondito sistematicamente l’opera di Jacopetti, dopo gli scritti pionieristici di Daniele Aramu, Antonio Tentori e Antonio Bruschini. Cosa ti spingeva a proseguire nell’esplorazione di quel cinema?
Stefano Loparco: Perché mancava una cornice entro cui contenere – è il caso di dirlo – la vicenda biografica di Jacopetti. Daniele e Antonio hanno condotto il loro lavoro centrandolo sull’opera filmica. Io volevo andare alle origini del genere mondo, indagando la storia di vita del suo più illustre fondatore. Perciò mi sono interessato sì al suo cinema, ma soprattutto alla rete di relazioni entro cui Gualtiero ha potuto esprimere la sua personalità. E i nomi, tra gli altri, sono quelli di Riz Ortolani, Carlo Gregoretti, Franco Prosperi, Giampaolo Lomi; in fondo il ritratto che ho dipinto nel corso degli anni è il loro. E ovviamente è contraddittorio, tanto è complesso il profilo psicologico dell’uomo che più di tutti ha scandalizzato il Novecento cinematografico.
B-SIDES: Continuo a non voler rispettare la regola aurea di Vanzina e ti chiedo qualcosa sui progetti futuri…
Stefano Loparco: Sto lavorando con Franco a un nuovo libro sulla storia di “Mondo cane”. Poi? Poi c’è Gian Maria Volonté, un progetto a cui sto lavorando da anni e con cui intendo congedarmi dal mondo dell’editoria. Cos’altro potrei aggiungere a Gian Maria?
Io spero che tu possa cambiare idea e decida proseguire la scrittura, non vorrai lasciarci con tutti quei critici cinematografici…