DOVLATOV – Aleksej German Jr (2018)

In Russia Sergej Dovlatov è uno dei più popolari scrittori moderni. Armeno da parte di madre e ebreo da parte di padre non riuscì mai a pubblicare i suoi romanzi nel suo paese natale. Solo dopo l’esilio negli Stati Uniti il suo talento fu riconosciuto. Scriverà 12 romanzi, ma il vero successo in patria arriverà solo postumo. Muore a 49 anni a New York.

In Unione Sovietica il destino di Dovlatov, come quello di molti altri artisti non allineati, è quello di “non esistere” come scrive lui stesso. Ignorato dai canali letterari ufficiali, escluso dai giornali, rifiutato dall’unione scrittori. “Non esistere” un destino più logorante dell’essere perseguitato.

A fare un film su un simile personaggio non poteva che essere Aleksej German Jr da sempre interessato alle figure marginali e invisibili della storia.

Dovlatov” (2018) è la trasposizione cinematografica di 6 giorni nella vita dello scrittore russo. Sei giorni particolarmente difficili e particolarmente insignificanti. Si tratta di giorni in cui non avviene nulla. Il suo romanzo continua a non essere letto. Gli articoli di giornale per cui scrive vanno continuamente riveduti. I soldi sono sempre pochissimi. Ma il giovane scrittore inizia, nella sofferenza esistenziale in cui vive, a prendere coscienza della sua integrità morale e artistica.

La comunità artistica sovietica di Leningrado è dipinta con grande amore e malinconia. Un sottobosco di potenziali promesse che non vedranno mai la luce. I più fortunati continueranno a non esistere, qualcuno sarà arrestato e altri esiliati come l’amico Joseph Brodsky (1940 – 1996). Fragili e, per uno sguardo occidentale, a volte molto ingenui (vedi il tentato suicidio dell’amico poeta).

Come ammette lo stesso regista tante sono le similitudini fra la vita dello scrittore e quella di suo padre (il regista Aleksej German). “Dovlatov” diventa, così, una doppia biografia e un accenno di autobiografia.

German Jr. firma una nuova pellicola formalmente perfetta fatta, come sempre, da corali piani sequenza immersi in una luce biancastra che mette in risalto colori caldi e tenui (a differenza dei crepuscolari blu elettrici del precedente “Under electric clouds”) come se i personaggi vivessero in una vecchia fotografia. Eppure proprio questo stile così definito abbinato, come sempre, a una durata eccessiva fanno di “Dovlatov” un film scontato per chi conosce l’opera dei German padre e figlio e non il capolavoro che avrebbe potuto essere.

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