UDINE vs. CANNES – Far East Film Festival XIII & Cannes 64 edizione

Maggio mese di festival. E noi, con un po’ di ritardo arriviamo a darvi un breve resoconto.
Far-East-Film-Festival-13FAR EAST FILM FESTIVAL contro CANNES.
Il Far East arriva alla 13 edizione! (E chi l’avrebbe detto) e la risposta di pubblico e di interesse al cinema asiatico è sempre in crescita, merito, anche, di un’ottima organizzazione. Le proposte di quest’anno erano varie e numerose. Capolavori che, speriamo, abbiano una meritata distribuzione si sono alternati a Kolossal di noia. Proprio nel campo horror si è visto il peggio del peggio. Da “Paranormal Activity 2: Tokio Night” probabilmente non ci si poteva aspettare molto. Un remake giappo di un film già abbastanza scarno. Le possessioni demoniache della protagonista dalle gambe rotte che si mette a camminare a spazzaneve con i capelli sul volto hanno creato boati di risa in sala anziché sussulti di spavento.
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=fdDXiYuolMA] L’atteso horror malesiano “Seru” si rivela il peggior mockumentary della storia del cinema. Senza capo né coda mostra scannamenti, possessioni, zombi urlanti e riti satanici sciocchini. Litri di sangue non bastano a fare un horror. Peccato perché le suggestioni c’erano tutte, dalla diffusa superstizione malesiana, al set nel set nella jungla.
“Bedvilled”, inserito a forza nella notte horror, è un film interessante e a tratti insostenibile sulla condizione della donna nella cultura coreana. Un’arrivista ragazza borghese, a causa di una lite in banca, è costretta a prendersi delle ferie forzate. Decide di tornare nella piccola isola dove è cresciuta: apparentemente un paradiso naturale lontanissimo da ogni concetto di modernità. Qui Hae-Won (la protagonista) sarà spettatrice di una tragedia all’interno della piccola comunità. Dopo aver assistito a una lunga serie di soprusi psicologici e fisici, esplode una violenza omicida incontrollata accolta dal pubblico con applausi e grida di approvazione (decisamente fuori luogo). Finale slasher completamente fuori tema. Forte la denuncia alle donne stesse incapaci di liberarsi da vecchi retaggi maschilisti che, anzi, ne approvano e supportano le dinamiche.

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Tanti i titoli in concorso che confermano la bravura tecnica dei team cinesi e i virtuosismi dei loro attori stunt man (il bruttissimo action “Wind Blast” o lo storico/epico “The Lost Bladesman”), ma eccessivamente nazionalistici. Spettacolare e intimista l’atteso “Aftershock”(vincitore di quest’anno) sul terremoto del 1976 che devastò la Cina.

Mamat Khalid presenta il suo horror demenziale malesiano
Mamat Khalid presenta il suo horror demenziale malesiano

Da Hong Kong: stupisce positivamente la commedia di Johnnie To (in collegamento web per l’occasione): “Don’t go braking my heart” e non aggiunge niente di nuovo al genere noir l’adrenalinico “Stool Pigeon”.
Lampi di genio il cortometraggio “Night Fishing” (girato con L’I-Phone) del visionario coreano Park Chan-kyong  e il giapponese “Confession”. Qualche risata con la commedia erotica “Foxy Festival” e la divertente parodia pulp-tarantiniana  “Operation Tatar”, primo film della Mongolia ad approdare al festival.

cannes-64A Cannes fra un red carpet e una festa si riesce ancora a vedere qualche film. Apparentemente i nomi sono i soliti habituè. I fratelli Dardenne presentano “Il ragazzo con la bicicletta” una favola moderna, come la definiscono loro, una palla attuale come l’abbiamo vista noi.
L’amato/odiato Lars von Trier si lancia nella fantascienza, alla sua maniera, con “Melancholia”.

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“The Tree of life” è il ritorno del troppo adulato Terrence Malik.
Lo strabordante Takashi Miike, con “Ichimei”, vuole dimostrare ancora una volta che se Kurosawa fosse ancora vivo farebbe film di samurai splatter, ma noi rimpiangiamo Gozu e Audition.
Almodovar con “La piel que abito” fa il remake di “Occhi senza Volto” di Jeorges Franju. Il risultato ovviamente è stanco e deludente.
Interessante, invece, il debutto della scrittrice australiana Julia Leigh con “Sleeping Beauty” che ricorda, con un giudizio iperbolico che farà inorridire quasi tutti, un Pasolini di Salò, ma senza efferatezze. Non è sicuramente un film eccellente, anzi alla lunga sembra solo un esercizio estetico, ma proprio questo dà maggior risalto alla perversione centro di questa pellicola. La bellissima e giovane Emily Browning entra, per necessità e per pigrizia, in un giro di prostituzione di altissimo bordo. Per renderle meno penosa la situazione, in accordo con la maitresse, lascia che i clienti approfittino del suo corpo mentre lei dorme stordita dai sonniferi.

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Ma la vera (e – mea culpa – inaspettata) gioia è trovare al festival “Drive“, film di cui avevamo perso le tracce e vedere il giovane Refn vincere la palma per il miglior regista. Di lui avevamo già parlato con l’epico Valhalla Rising, ricordiamo il bellissimo Bronson meteora nelle nostre sale, e la trilogia dei degradati sobborghi danesi Pusher neanche approdata in Italia.
Storia di un taciturno uomo dalla doppia vita: stuntman professionista e meccanico di giorno e autista nelle rapine di notte. Suo malgrado, però, una di queste rapine non va per il verso giusto. Gli eventi trascineranno lo stuntman in una spirale negativa che lo trascina sempre più in basso, senza speranza. Classico e innovativo come nei suoi migliori film. Assolutamente da non perdere.

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