WATERCRISIS – Sleeping Sickness

Dove andiamo?

Anche questa volta usciamo dagli schemi e lo facciamo in un modo insolito: parliamo di una band italiana… WaterCrisis.
Ok, devo ammettere che il fatto che siano italiani ha veramente poca importanza, anche perché ho scoperto le origini della band solo dopo aver deciso di scrivere qualcosa sul loro “Sleeping Sickness” e la cosa non mi è dispiaciuta affatto, anzi, la trovo curiosamente intrigante. Non ho mai avuto il piacere di parlare di una band italiana per B Sides Magazine ma credo sia giunto il momento di farlo.

Cos’è…

Non sono il tipo di persona che giudica i libri dalla copertina, ma gli album sì, e lo faccio perché la mia esperienza mi ha insegnato che spesso nelle piccole produzioni (come questa) la copertina anticipa molto su quello che è effettivamente l’album e sinceramente mi aspettavo qualcosa di diverso: un ritmo più veloce ed incalzante, sonorità più trash, sostanzialmente mi aspettavo più casino; invece ho trovato un lavoro ben curato, ascoltabile anche dai non puristi del metal, perché in un paio d’occasioni (forse più) mi sono chiesto se fosse veramente metal ma alla fine non interessa a nessuno, le etichette servono solo a quelli che vendono dischi per catalogarli sugli scaffali.

i WATERCRISIS

La voce

Resto affascinato dalla voce di Caterina Salzano, così acuta, graffiante, quando canta la sua voce si trasforma rendendola irriconoscibile rispetto al parlato. Ci dev’essere della stregoneria dietro questa voce perché trasuda rabbia e lo dice lei stessa in un’intervista a MetalZone su RadiAction (web radio) quando afferma che : “le uniche sensazioni che conosciamo sono disagio e rabbia”. Lo dice ridendo, ma le credo perché tutto l’album parla di disagio, paure e introspezioni negative e, per chi sa leggere tra le righe ne suggerisce anche un modo per superarle.

il Coraggio del concept

Ci vuole coraggio per produrre un concept album su questi argomenti. Sono temi che non puoi raccontare per sentito dire, non ti puoi essere portatore di voce altrui, le devi vivere e ci vuole coraggio per parlarne apertamente, per esternare per ridicolizzarle, come se parlarne togliesse loro il potere che hanno su di noi.Se fossimo negli anni ’90 e fossimo a Seattle tutto questo si avrebbe un nome preciso, ma a noi le etichette non piacciono…
Gli altri membri della band (oltre Caterina) sono Antonio Castaldo al basso, Francesco Coppeta alla chitarra e Roberto Gocas alla batteria.

Come prosegue il disco

L’album è un crescendo e concordo pienamente con il conduttore di MetalZone quando usa il termine “STONER”: si parte con la strumentale “Check-in” e poi ogni pezzo è una sorpresa, la prima è la voce di Caterina che ha molto da dire (e lo farà certamente nelle prossime produzioni). Le pennate della chitarra di Francesco sono decise e precise e l’assolo in “The Hostesses die alone” dura troppo poco, ma si rifà in “Slaugther”, scambiandosi il ruolo con il besso, come in una corsa automobilistica dove i contendenti si sorpassano continuamente tenendo alta la tensione.

It Drives you so mad

It drives you so mad” spicca il ritmo della batteria di Roberto che come un martello picchia dritto anche quando il pezzo subisce un’influenza diciamo “orientale”, una virata molto ben realizzate che arricchisce l’arrangiamento. “Another day like the other” è la rivincita del basso di Antonio che finalmente entra a piè pari, distorto come si usava non troppo tempo fa, profondo e deciso danza con la batteria regalando un tappeto di facile appeal per la voce.
Sleeping sickness” è la degna conclusione di un lavoro che stento a credere non appartenga ad un gruppo mainstream. Completo e accattivante, mentre lo riascolto per l’ennesima molta, quasi canticchio i pezzi mentre osservo con più attenzione la copertina che inizia a parlarmi delle mie “Sleeping sickness” andando ben oltre quello che fino a poco fa consideravo solo un ottimo lavoro di grafica.

 

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Articolo di PAOLO PALETTI

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