Léon Spilliaert e la natura segreta della realtà

Léon Spilliaert (1881-1946) è stato uno degli ultimi rappresentanti del Simbolismo, movimento artistico di ribellione culturale e sociale dilagato in Europa tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento. Nato ad Ostenda e vissuto per la maggior parte della vita tra la città natale e Bruxelles, Spilliaert è un artista ancora poco noto al di fuori dall’ambiente franco-belga, ma la sua arte merita di essere rivalutata per gli esiti incredibilmente originali e moderni, oltre che affascinanti, a cui è giunta in oltre quarantacinque anni di carriera.

Léon Spilliaert: Autoritratto allo specchio (1908)
Léon Spilliaert: Autoritratto allo specchio (1908)

Le sue opere colpiscono per l’ambiguità che le caratterizza a più livelli: tecnicamente a metà strada tra pittura e grafica, in esse si riconoscono tratti tipici del Simbolismo, dell’Espressionismo, dell’Astrattismo geometrico e talvolta elementi che anticipano il Surrealismo, ma non le si può mai affiliare completamente ad una sola corrente. Concettualmente le si potrebbe definire con un ossimoro quale “realismo soggettivo”, ed effettivamente Spilliaert rappresentava soprattutto ciò che lo circondava: scorci di città, interni di case borghesi e scene di vita quotidiana, filtrando però il tutto attraverso una percezione alterata capace di svelare la natura segreta delle cose.

 

Léon Spilliaert: Diga e Faro (1908) - Faro sulla Diga (1908)
Léon Spilliaert: Diga e Faro (1908) – Faro sulla Diga (1908)

Ostenda è uno dei soggetti più ricorrenti nelle sue opere, città di mare elevata a simbolo universale dell’eterno ed irrisolto incontro tra ordine e caos. Per mezzo di una sintesi geometrica e cromatica della rappresentazione Spilliaert descriveva una realtà di contrasti e compenetrazioni tra dimensioni opposte: luce e ombra, materia e vuoto, architetture immobili e maree incessanti.

Anche quando non oppongono l’universo urbano con quello marino, queste opere sono spesso basate su un contrasto rivelatore di una verità simbolica: le arcate monumentali del lungomare di Ostenda diventano ad esempio un confine tra uno spazio tangibile e un “altrove” etereo e di pura luce, una metafora del passaggio tra la vita e la morte. Nei paesaggi marini l’orizzonte è viceversa una meta irraggiungibile, un mistero che attira irrimediabilmente l’uomo lasciandolo però paralizzato sul limite invalicabile del bagnasciuga.

Léon Spilliaert: Sera sulla diga di Ostenda (1908) - Le tre arcate (1907)
Léon Spilliaert: Sera sulla diga di Ostenda (1908) – Le tre arcate (1907)

Quando è presente, l’essere umano è sempre una figura fragile, isolata e a volte minuscola, schiacciata da un universo di fronte al quale è impotente. Si riconoscono soprattutto figure femminili, solitarie e in attesa, come la figura ammantata di “Donna sulla diga” (1908), dove il contrasto tra primo piano e punti di fuga crea uno spaesamento prospettico alienante.

Léon Spilliaert: Donna sulla Diga (1907)
Léon Spilliaert: Donna sulla Diga (1907)

Spilliaert cercava di trasmettere, attraverso le proprie opere, sensazioni inquietanti quali paralisi, vertigine e un’indefinita ambiguità, trovandoci in esse una condizione esistenziale dell’essere umano. Un’altra celeberrima opera del pittore, “Vertigine – Scala magica” (1908), è ispirata alla sensazione di vuoto provata scendendo una scalinata durante una notte tempestosa. Le proporzioni totalmente alterate creano un’ambientazione da incubo, con la figura protagonista sul ciglio di un abisso, senza la possibilità di muoversi in alcuna direzione.

Léon Spilliaert: Vertigine - Scala Magica (1908)
Léon Spilliaert: Vertigine – Scala Magica (1908)

 

Anche nella pittura di interni si nota un’evidente sintesi geometrica che altera la percezione degli spazi, ma le strutture compositive sono più complesse, spesso basate su paradossi prospettici ed ottici che rendono dei tipici ambienti borghesi delle prigioni surreali. In questo Spilliaert si mostra più vicino che mai alla cultura simbolista che, soprattutto in campo letterario, aveva concepito l’interno dell’abitazione come rappresentazione di una trappola in cui l’uomo era confinato dalle convenzioni sociali.

Léon Spilliaert: Autoritratto col cavalletto (1908)
Léon Spilliaert: Autoritratto col cavalletto (1908)

 

Nelle opere di Spilliaert, come in quelle di altri simbolisti, l’interno diviene anche mausoleo di memorie e segreti, secondo una visione tipicamente animista del rapporto tra essere umano e materia tangibile. Gli oggetti quotidiani, infusi della storia di chi li ha posseduti, nell’oscurità della notte e nel riverbero di una luce non diurna (lunare o artificiale) si spogliano dell’apparenza e rivelano la loro vita segreta, popolando gli ambienti di apparizioni indefinibili e talvolta minacciose.

L’unica presenza umana è quella del pittore stesso, che inseriva il proprio autoritratto solo nella pittura di interni, rappresentandosi come un essere emaciato, scarnificato ed intrappolato nell’abito-guscio che lo identifica socialmente.

Proiettando su se stesso l’angoscia dell’uomo contemporaneo Spilliaert si ricollega al celebre “Urlo” (1893) di Edvard Munch, evocato esplicitamente nell'”Autoritratto allo specchio” (1908). Rinchiuso nello spazio delimitato dalla cornice di uno specchio, inseguito dal memento mori dell’orologio alle sue spalle, la figura del pittore è infine catturata mentre si sta dissolvendo in un abisso di oscurità, paralizzata nell’eternità di un grido muto.

5 thoughts on “Léon Spilliaert e la natura segreta della realtà

  1. Bell’articolo.
    Conosco alcune opere di Spilliaert grazie alle copertine di alcuni romanzi di Georges Simenon editi da Adelphi . Ne elenco qualcuna:
    1. esterni:
    Lungomare di notte – 1908 (romanzo “L’uomo di Londra”),
    Casa nel crepuscolo – 1921 (romanzo “Le finestre di fronte”),
    Marina con scia – 1902 (romanzo “I Pitard”),
    Plage – 1909 (romanzo “L’uomo che guardava passare i treni”),
    Il porto – 1925 (romanzo “La casa sul canale”),
    Gallerie Reali di Ostenda – 1908 (romanzo “Il primogenito dei Ferchaux),
    2. interni:
    La vetrata – 1909 (romanzo “Il viaggiatore del giorno dei morti”),
    La porta aperta – 1904 (romanzo “Gli intrusi”),
    La camera da letto – 1908 (romanzo “I fantasmi del cappellaio),
    La camera da letto – 1908 – un’altra versione (romanzo “Il fidanzamento del signor Hire”).

    1. Ciao, grazie per l’apprezzamento dell’articolo!

      Si, ho notato la passione degli Adelphi per le opere di Spilliaert, che altrimenti sarebbero sconosciute in Italia. Io per studiare questo artista (che è stato l’argomento della mia tesi di laurea) sono dovuto andare direttamente in Belgio per raccogliere materiale…

  2. Grazie per il breve saggio; luce su questo inquietante pittore di cui conosco solo la Bagnante del Museo 900 a Brx; illustra benissimo secondo me l’animo femminile sospeso fra un. borghese passato tranquillo e un incerto futuro di indipendenza: mi butto o non mi butto?il dubbio di noi nuotatori.

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