ECOCATASTROFI – Donna Haraway – Matteo Meschiari – Vandana Singh – Sam J. Miller – Maja Lunde – Hayao Miyazaki

Karel Thole
Karel Thole

Donna Haraway

Chthulucene (2016)
Chthulucene (2016)

Donna Haraway, laureata in biologia e zoologia, è una filosofa statunitense cyborgfemminista: suo il manifesto cyborg sul gender, sulle multispecie, sulle tecnologie e le biopolitiche del corpo.
Prende dalla fantascienza molte metafore che utilizza nei suoi saggi dal linguaggio pirotecnico.
Sceglie l’acronimo FS per indentificare, a volte contemporaneamente, il Fatto Scientifico, la Fabula Speculativa, il Femminismo Speculativo e, ovviamente, la Fantascienza.
Il suo saggio “Chthulucene” (2016), pubblicato in Italia da Nero Editions nelle collana Not, affronta il tema della crisi ecologica e s’interroga su come “sopravvivere su un pianeta infetto”, cioè come “vivere e morire bene, l’uno con l’altro” in questi “tempi confusi, torbidi, inquieti”, “segnati da irreversibili cambiamenti climatici”, “da estinzioni e stermini abnormi”, da impoverimento e distruzione selvaggia “retaggio di secoli si sfruttamento economico, culturale ed ecologico”.

Cosa succede quando le migliori biologie del XXI secolo non riescono più a funzionare, (…) a sostenere la ricchezza straripante dei saperi biologici?
Donna Haraway vede la sopravvivenza umana come un atto collettivo, in cui ecologia, scienza, arte e tecnologia s’intrecciano con la cultura e le tradizioni locali (rituali e mitologie comprese), che le disastrose politiche capitaliste, colonialiste e neocolonialiste hanno devastato. Affascinante che, in una società lacerata, organismi viventi (animali e vegetali) possano sopravvivere, generando parentele impreviste, collaborazioni inaspettate. “Le persone e gli animali si uniscono in intrecci innovativi”. “Con-diveniamo insieme, gli uni con gli altri, oppure non diveniamo affatto”.

Donna Haraway
Donna Haraway

Vandana Singh

Vandana Singh
Vandana Singh

Questo concetto è stato brillantemente espresso da Vandana Singh in “Entanglement” (2015) pubblicato da Future Fiction: cinque bellissimi racconti uniti fra loro dall’invenzione di una tecnologia fondata sull’empatia. Una tecnologia capace di salvare la vita di un singolo individuo in difficoltà grazie a una rete impalpabile che unisce altri individui sparsi per il mondo, i quali danno un aiuto o un sostegno importante, quasi inconsapevole, a persone spesso sconosciute. La protagonista del primo racconto conduce esperimenti nei fondali marini della Siberia orientale e studia batteri mangia-metano, che possono rallentare il riscaldamento globale legato all’emissione di anidride carbonica. Viene salvata da un incidente subacqueo grazie alla tecnologia empatica e all’intervento inaspettato di un cetaceo.

 

Quindi la sopravvivenza di una singola persona e di un intero ecosistema diventano frutto della ricerca scientifica, della collaborazione con i batteri e dell’intervento provvidenziale di un cetaceo. La fantascienza genera parentele, proprio come auspicato da Donna Haraway, che cita una frase significativa dell’antropologa sociale Marylin Strathern: “E’ importante capire quali idee usiamo per pensare altre idee.” Ed è questo a cui la fantascienza ci ha abituati.

Matteo Meschiari

Matteo Meschiari
Matteo Meschiari

Il Nord circumpolare morente, da cui prende i passi “Entanglement”, viene considerato da Donna Haraway una delle quattro zone critiche del pianeta (insieme alla Black Mesa in Colorado, con la sua riserva indiana e le sue pecore Churro, al Madagascar, con i suoi lemuri, e alla barriera corallina).

Matteo Meschiari, in”Artico nero” (2016), descrive i danni sociali ed ecologici che il colonialismo e il capitalismo hanno inflitto alle popolazioni indigene del profondo Nord. Una sorta di genocidio culturale operato dalle nazioni imperialiste circumpolari (Norvegia, Danimarca, Russia, Canada, Stati Uniti…).

Maja Lunde

Maja Lunde
Maja Lunde

E’ proprio una scrittrice norvegese, Maja Lunde, a mettere al centro del suo romanzo, “La storia dell’acqua” (2017), un’ecoterrorista che vuole salvare un ghiacciaio norvegese dallo sfruttamento sfrenato.

La storia si dipana su due piani temporali: uno è ambientato nella Francia torrida di un vicino futuro dove una catastrofe climatica ha reso l’acqua un bene così prezioso da venir razionato (in una sorta di campo profughi della Croce Rossa, i rifugiati possono lavarsi solo una volta a settimana, in giorni ben precisi fatti rispettare dai militari); l’altro si svolge nel presente, dove una multinazionale norvegese estrae da un ghiacciaio cubetti di ghiaccio che vengono poi esportati negli Emirati Arabi per i drink dei ricchissimi emiri.

Mentre leggevo “La storia dell’acqua”, pensavo che il colpo di genio fantascentifico non fosse tanto l’ecocatastrofe che ci aspetta quanto la vendita di ghiaccio purissimo nella Penisola Arabica. Mi sbagliavo: quella non era fantascienza. Maja Lunde parlava di un’attività commerciale realmente praticata in Norvegia fino a pochi anni fa, che ora è cessata dietro la pressione degli ecologisti norvegesi.

Toccante il finale del libro, quando il giovane padre francese asseconda la figlia che gli chiede per l’ennesima volta, prima di addormentarsi, il “gioco dell’acqua” e lui tamburella con le dita sul comodino per evocare il rumore della pioggia, un evento atmosferico che la bambina non può nemmeno ricordare.

Maja Lunde "La stroia dell'acqua" - "La storia delle api"
Maja Lunde “La stroia dell’acqua” – “La storia delle api”

Maja Lunde aveva già scritto la bella “Storia delle Api” (2015), sviluppata su tre piani temporali, il cui fulcro è il presente, dove la fuga delle api dagli alveari rappresenta l’inizio della loro estinzione e la fine dell’impollinazione. Nella Cina del prossimo futuro le donne cinesi si sostituiranno alle api e porteranno avanti personalmente la proliferazione della flora.

Anche qui, quella che ritenevo una brillante soluzione fantascientifica (l’impollinazione manuale delle piante da frutto) si è rivelata una pratica realmente diffusa in Cina, nelle piantagioni dello Sichuan, dove la morìa delle api è causata dall’uso dei pesticidi che i contadini spargono per difendere il raccolto. I pesticidi non sono armi intelligenti, studiate per uccidere solo gli insetti nocivi, quindi ne sono andate di mezzo anche le api. L’effetto dei pesticidi si è rivelato presto catastrofico anche per i raccolti, quindi il palliativo a cui ha pensato il governo cinese è stato quello di inventare l’uomo-ape che si occupasse dell’impollinazione manuale.

Spesso i disastri ecologici e le soluzioni per tamponarli superano di gran lunga il buon senso e la fantasia.

La fantascienza, invece, è molto più raffinata della realtà quando descrive catastrofi, basti pensare al “Mondo sommerso” (1962), a “Terra bruciata” (1964) e a “Foresta di cristallo” (1966) di J. G. Ballard. O alla “Morte dell’erba” (1956) di John Christopher, che probabilmente ha aperto le danze delle distopie climatiche.

Più recentemente lo ha dimostrato Paolo Bacigalupi, con il formidabile “La Ragazza Meccanica”, ambientato in una Thailandia martoriata dai cambiamenti climatici e dal collasso delle fonti energetiche.

Sam J. Miller

Sam J. Miller “La città dell’orca”
Sam J. Miller “La città dell’orca”
Sam J. Miller
Sam J. Miller

Oggi è Sam J. Miller a dimostrarlo, con il potente romanzo “La città dell’orca” (2018), pubblicato da Zona 42 e tradotto mirabilmente da Chiara Reali.

La catastrofe climatica, lo scioglimento dei ghiacciai, le guerre dell’acqua e le migrazioni di massa verso Qaanaaq, la metropoli ultratecnologica galleggiante al largo della Groenlandia… Questo lo scenario che fa da sfondo all’intrecciarsi di storie dei protagonisti, su cui aleggia la figura quasi mitologica della donna accompagnata da un orso polare, che approda a Qaanaaq a bordo di un catamarano forse trainato da un’orca.
In una città che vive delle storie dei sopravvissuti, in un mondo in cui la maggior parte degli animali si è estinta, questa apparizione non può passare inosservata e diventa presto leggenda.
Del resto il mistero avvolge l’arrivo della donna: “La sua espressione non tradiva se quello che era venuta a fare a Qaanaaq fosse cruento, nobile o entrambe le cose”.

Dopo il primo, breve e memorabile capitolo del romanzo, ci immergiamo in questa città oceanica brulicante di vite provenienti da ogni parte del globo. La lingua ufficiale dovrebbe essere lo svedese, ma lo parla meno della metà degli abitanti. La burocrazia e la politica sono state drasticamente ridotte dalle intelligenze artificiali. La distinzione fra le classi sociali, invece, non si è minimamente attenuata. In compenso i controlli sulla malavita sono stati allentati al punto che la corruzione, per certi versi, è stata legalizzata o, comunque, regolamentata a vantaggio dei ricchi azionisti di Qaanaaq.
C’è chi ama la città, chi vorrebbe controllarla oppure distruggerla e chi è combattuto fra questi due opposti. Ma tutto ciò che accade nella città galleggiante non deve stupirci: “tutte le città sono esperimenti scientifici”, dice il singolare organo d’informazione locale chiamato “Città senza una mappa”. E non è un caso che Sam J. Miller apra il romanzo con una citazione tratta da “Dhalgren” di Samuel R. Delany, che descrive la vita nella città di Bellona, forse l’esperimento sociale più concettuale che la fantascienza degli anni Settanta abbia concepito.
La terra è devastata dall’innalzamento dei mari, Qaanaaq è flagellata da una malattia simile all’Aids e dall’indifferenza o dall’impotenza della sanità mondiale.
Come constata l’autore nella nota all’edizione italiana “per  avidità e paura, continuiamo a prendere decisioni orribili che distruggono il pianeta e noi stessi”.

Hayao Miyazaki

Hayao Miyazaki
Hayao Miyazaki

Donna Haraway vede come metafora della sopravvivenza di tutte le specie, comprese quelle più vulnerabil, il famoso manga di Hayao MiyazakiNausicaä nelle Valle del vento”, da cui l’autore ha tratto anche l’omonimo anime.

In un futuro post-apocalittico la rinascita dell’umanità e del pianeta arrivano da una ragazzina intraprendente, curiosa e senza pregiudizi, che vede nella foresta tossica e nei giganteschi insetti mutanti che la popolano non un pericolo, ma una nuova forma di vita capace di purificare l’acqua e l’atmosfera e permettere così al mondo di ritornare abitabile.

Ed è proprio questo che Donna Haraway auspica: puntare su una biodiversità ecosostenibile, generare parentele creative fra esseri viventi (umani e non), capaci di con-divenire insieme in una stupefacente simbiosi orientata al benessere.

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