PRAGA MAGICA un saggio di Angelo Maria Ripellino sulle leggende più oscure della città esoterica

Sebbene gli studi esoterici ritengano che Praga faccia parte (con Lione e Torino) del triangolo della magia bianca (cioè della magia di buon auspicio)…

Praga Magica
Praga Magica

Sebbene gli studi esoterici ritengano che Praga faccia parte (con Lione e Torino) del triangolo della magia bianca (cioè della magia di buon auspicio), nella seconda parte del suo bellissimo saggio “Praga Magica” (1973) Angelo Maria Ripellino passa in rassegna le opere della letteratura boema ottocentesca e del primo Novecento e fa emergere l’atmosfera tetra, spettrale e decadente della città, le sue leggende macabre e soprannaturali, i suoi personaggi grotteschi… Un’atmosfera gotica, indiscutibilmente horror, che forse ha più contatti con la magia nera che non con quella bianca.

Angelo Maria Ripellino
Angelo Maria Ripellino

Praga è l’imponente, soffocante protagonista della letteratura boema: “città accigliata e dolente”, cupa, nebbiosa e fatiscente… una “città funeraria, dove si mangiano dolci che hanno parvenza e nome di piccole bare”… una “città senza gioia” agli occhi dei visitatori, con le sue stradine strette, i suoi cupi palazzi, le catapecchie del ghetto e i casamenti degli operai, le sue lugubri chiese. Malefici e stregonerie la avvolgono.

Si dice che Franz Kafka, forse il più famoso degli scrittori cechi, morto nel 1924, appaia ancora oggi, alle 5 del mattino, “con bombetta, vestito nero”, presso la sua casa di Zeltnergasse. Si dice anche che le case dove Kafka abitò con la famiglia “avevano tutte sostanza arcana”, in particolare quella addossata alla chiesa di Týn e attraversata da suoni d’organo, cori e odori d’incenso.

 

Kubin Meyrink Kafka
Kubin – Meyrink – Kafka

 La decrepitezza ingigantisce il sortilegio delle case praghesi”.
Nel famoso romanzo di Gustav Meyrink, “Il Golem” (1915), le catapecchie sovraffollate del ghetto ebraico e le case di Malá Strana sono descritte come “animali in agguato”, perfidi e ostili, dalle “nere fauci spalancate”, che dai tetti e dalle grondaie emettono nella notte “gridi così laceranti e così colmi di odio da infondere paura”.
Anche il loro interno trasmette angoscia: le stanze sono asfittiche, i muri decrepiti e ammuffiti, tendaggi pesanti coprono le finestre, le scale sono strette e le soffitte ingombre di cianfrusaglie e trappole per topi.
Nel “Processo” di Kafka (1925), il palazzo del Tribunale è un “intrico di scale buie, corridoi soffocanti, sgabuzzini”…

Alfred Kubin, nel romanzo “L’altra parte” (1909), ci diffida dal costeggiare le case di notte. Dalle loro cupe cantine e dietro le inferriate delle loro finestre si sentono gemiti come di qualcuno che sta venendo strangolato. I loro portoni potrebbero spalancarsi all’improvviso e inghiottire i timorosi e malcapitati passanti.
All’interno di un palazzo di Malá Strana, la maniglia della porta di una stanza viene descritta così da Gustav Meyrink nel racconto “Il preparato anatomico” (1903): “La maniglia interna della porta era una mano umana, ornata di anelli. – La mano del morto: le bianche dita aggranfiavano il vuoto.” Nello stesso palazzo è presente anche una vasca di vetro dove nuota in un liquido azzurrognolo “una pancia umana”.

L'orologio astronomico medievale nella piazza della Città Vecchia di Praga
L’orologio astronomico medievale nella piazza della Città Vecchia di Praga

Nei “Misteri di Praga” (1868), Josef Svátek ricorda un altro palazzo di Malá Strana, dalle finestre sempre chiuse, nel cui giardino si aggira tutte le notti uno scheletro che si lamenta.
Diversi edifici si vantano di aver ospitato il dottor Faust nel suo soggiorno a Praga. In una casa, ora “disabitata e schivata da tutti”, si svolse l’ultimo incontro di Faust con il diavolo. Andò ad abitarci uno studente così povero da non potersi permettere altro alloggio. Si dice che il diavolo se lo portò con sé ancora vivo per “un buco del nero soffitto” (Adolf WenigVecchie voci di Praga” – 1931).

Anche il mercato del bestiame (piazza Carlo, fondata nel medioevo e oggi grande area verde di Nové Mesto) è stata un “ricettacolo di neri e tossici spiriti”. Qui, fra le “sozze e cascanti casupole” (fra cui la casa di Faust), svettava un macigno con una croce. “Su quel masso avvenivano esecuzioni abusive: il boia troncava le teste appoggiate alla pietra, e le salme cadevano per una botola giù nell’intrico di anditi arcani, celle per i supplizi, covi di cospiratori, cubicoli in cui si muravano vivi i condannati dei tribunali segreti.” Documentato da Karel Krejčí nelle “Leggende e fatti di Praga” (1967).

Lvovic – Svátek – Zeyer – Brod

Le chiese barocche non sono da meno. Vi si professano riti maligni.
Jiří Karásek ze Lvovic indugia sul senso di decadenza e di demenza dei templi di Praga (i fiori putrescenti sugli altari, gli abiti sgualciti, le statue di cera che si consumano…). E’ lì che si esalta “la corruzione del corpo, i chiaroscuri, lo spasimo della santità, la voluttà del martirio”. Nel suo “Romanzo di Manfred Macmillen” (1907) parla di un convento a Hradčany, dove le monache barnabite (carmelitane scalze) “vivono come ottusissime talpe nel buio della mistica reclusione” e “adorano la mummia annerita della beata Elekta”. Leggenda vuole che le novizie dovessero “sfilare a mezzanotte l’anello dalla mano grinzosa dell’orrida mummia”. Durante la cerimonia, fuori del chiostro si udivano “le salmodianti voci delle sepolte vive”. Nella chiesa “il grande Cristo coperto di piaghe sanguinanti, che splendevano nelle tenebre come incandescenti segnali mistici, scese ora dai bracci della croce e si avviò lentamente all’altare”. Questa potentissima scena fa ricordare a Ripellino che “oppressiva ricorre negli scrittori praghesi l’immagine spagnoleggiante del crocifisso, tetro viluppo di trafitture e di membra stracciate, fontana di vivo sangue”.

Cattedrale di San Vito Praga
Cattedrale di San Vito Praga

In una delle “Tre leggende sul crocifisso” (1895), Julius Zeyer ci propone un’agghiacciante novella horror in cui “l’altezzosa e impassibile scultrice Flavia Santini di Milano” sceglie un giovane poeta come modello per un grande Cristo d’argilla, al cui volto vuole dare “l’autentico spasimo di un uomo che lotti con la morte”. Lega nudo il modello alla croce. “Per giorni e giorni il poeta pende, assetato, affamato, dall’orrido legno. La crudelissima Flavia gli tagliuzza la faccia, gli attorce attorno ferocemente le corde, gli conficca sul capo una corona di spine, e alla fine gli conficca un pugnale nel cuore.” Grazie agli ultimi spasimi del modello la scultrice può dare il tocco finale al suo Cristo barocco: il realismo e la drammaticità che cercava!

Cimitero ebraico di Praga
Cimitero ebraico di Praga

Anche nel romanzo “San Saverio” (1873), James Arbes affronta il tema dell’arte barocca. Nella Chiesa di San Nicola a Malá Strana immagina un misterioso quadro che raffigura San Francesco Saverio morente in riva al mare. Un giovane, che si chiama Xaverius come il santo, una notte si chiude nella chiesa deserta e si accorge con stupore di avere “il viso identico a quello del santo”, come se il pittore si fosse servito di lui come modello. Il quadro nasconde anche “una trama di punti che, rapportata sulla pianta di Praga”, evidenzia il percorso che dalla casa dove visse il pittore porta al quartiere delle vigne, in cui si dice sia sepolto un misterioso tesoro. Come fa notare Ripellinoqui il maleficio della pittura barocca e dei crittogrammi dei quadri si amalgama col tema del diavolismo gesuitico, fortissimo nella letteratura di Praga”.

La Cappella del Corpus Domini, “riserva gesuitica” nel mercato del bestiame, fu una vera e propria “fucina di superstizioni”. “Che gioia per cornacchie, che insanguinata immondizia romantica questo mercato – commenta Ripellino, – questo pubblico banco di gesuiti, di spettri, di spigolistre, di cospiratori, di negromanti, di scheletri, di manigoldi”.

E nel folclore di Praga non poteva mancare anche un templare.
Vicino al chiostro di San Lorenzo, egli appare ogni venerdì dopo la mezzanotte, con il suo mantello bianco su cui si staglia la rossa croce dell’ordine. E’ in groppa a un cavallo, anch’esso bianco, che soffia fuoco dalle narici. Non ha la testa (è stato decapitato) e in una mano stringe le briglie della cavalcatura, nell’altra il proprio teschio.

Figure losche e grottesche popolano la città degli incantesimi.
Non dimentichiamo che sotto il regno di Rodolfo II (il sovrano che nel 1583 trasferì da Vienna a Praga la capitale del Sacro Romano Impero) la città brulicava di alchimisti, astrologi, maghi e spiritisti, nonché di avventurieri e furfanti. Il re era famoso per essere il mecenate di negromanti e ciarlatani. “Un dio bisognoso di aiuto”, come lo avrebbe definito Max Brod ne “L’ultima esperienza di Tycho Brahe” (1916).

Giuseppe Arcimboldi “Ritratto di Rodolfo II in veste di Vertumno” – 1591
Giuseppe Arcimboldi “Ritratto di Rodolfo II in veste di Vertumno” – 1591

 

Praga magica
Angelo Maria Ripellino
Editrice Einaudi
2014 – Pp. 368 – € 14
ISBN 9788806224868

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