FANTAITALIA – Robe truci con gattini dentro. Intervista a ANNA FERUGLIO DAL DAN

ANNA FERUGLIO DAL DAN
ANNA FERUGLIO DAL DAN

B-SIDES: Buongiorno e grazie per aver accettato l’intervista. Vorrei parlare soprattutto del suo romanzo “Senza un cemento di sangue”. La guerra, la ribellione, gli attacchi al potere, le feroci ritorsioni militari, il sacrificio, il tradimento e… la tortura! Non credo che “Pianeta Sangre” di Norman Spinrad riesca a raggiungere scene di crudeltà così precise e agghiaccianti come quelle che lei ha descritto in “Senza un cemento di sangue”. Torture fisiche e psicologiche che straziano il corpo e lacerano l’anima. E possono mettere a dura prova anche il lettore. Del resto lei si definisce così: “Scrivo robe truci con gattini dentro”. Da dove nasce il suo interesse per le strategie militari e le torture a cui vengono sottoposti i prigionieri? E come riesce a conciliare la calcolata “esibizione di crudeltà senza vergogna” dei soldati della Cirte con i… gattini?

Anna Feruglio Dal DanAnna Feruglio Dal Dan: Per le strategie militari, tutto quello che posso dire è che fingo bene, non saprei riconoscere una strategia vincente neanche se mi sparasse addosso. Per il resto, ho sempre letto space opera, fin da quando leggevo gli Oscar Mondadori per Ragazzi che pubblicavano Edmund Hamilton e Murray Leinster. Ho letto la trilogia della Fondazione che ero ancora alle medie. E poi ovviamente un sacco di Verne e Salgari. Potrei cercare di darmi un tono ma che diavolo, no, la mia ispirazione sono state “La Spedizione della V Flotta” e “Gundam“. L’altro incontro formativo della mia infanzia è avvenuto quando a dodici anni mi hanno portato ad un concerto degli Inti Illimani, che erano in esilio in Italia perché avevano avuto la fortuna di essere in tournée al momento del colpo di stato in Cile. Siccome sviluppo facilmente ossessioni, da quel momento in poi ho smesso di leggere Tolkien e sono passata a conoscere tutta la Nueva Cancion Chilena, a leggere Neruda, a conoscere la biografia di Violeta Parra e Victor Jara, e in generale la storia di come la democrazia in America Latina sia stata soffocata nel sangue per una generazione. Non so spiegare come mai quella storia mi sembrasse importante e rilevante, mi chiedo semmai come mai a tanti non lo sembrasse. Ma insomma, molte delle cose più sgradevoli che ho scritto, e molte di più che non avrei potuto scrivere, vengono da lì. Il padre di Creyna fa esattamente la stessa fine di Victor Jara, per ragioni molto simili. Mi sono chiesta diverse volte se avevo il diritto di scrivere storie simili, che persone non troppo lontane da me hanno vissuto in prima persona. Fra i molti libri terribili che ho letto sull’argomento il migliore, “Unspeakable Acts, Ordinary People: The Dynamics of Torture” di John Conroy, dice fra l’altro:
“Immagino che sia possibile mettere nero su bianco una descrizione degli orrori della tortura tale che una molteplicità di sopravvissuti possa leggerla, annuire e dire che sì, la sofferenza che ho provato ne è adeguatamente descritta. Ma il prodotto di tale sforzo sarebbe un libro troppo terribile per essere letto. Quelli che ne giungessero al termine lo potrebbero fare solo con gli occhi appannati e il cuore indurito.” 
 Ma Conroy – che fra l’altro ha denunciato i siti neri della polizia di Chicago molti anni prima di quanto non fosse alla moda – dice anche che la tortura è il crimine perfetto, per cui quasi nessuno paga, e quei pochi in modo inadeguato. Quindi l’unica giustizia possibile è attraverso la narrativa. D’altra parte, come dice Ursula Le Guin, la Verità è una questione di immaginazione.
I gattini li devo a Brunella Gasperini e al suo straordinario libro “Una donna e altri animali”, che mi ha dato il permesso di considerare gli animali cose serie. Non siamo soli nell’universo, lo condividiamo con altri esseri, per fortuna.

B-SIDES: Una mente brillante, una ferrea disciplina militare, slanci di passione imbrigliati da un atroce senso del dovere… Difficile non provare ammirazione per Creyna, il geniale stratega della Cirte. Tuttavia ci sono pagine in cui sembra davvero l’incarnazione del male. Creyna fa impallidire altri famosi personaggi letterari, come Severian, il Torturatore di Gene Wolfe, o Eymerich, l’inquisitore di Valerio Evangelisti. Si è ispirata a figure reali o immaginarie per descrivere il suo implacabile distruttore di mondi?

Anna Feruglio Dal DanAnna Feruglio Dal Dan: Severian: Gene Wolfe è uno dei miei autori di riferimento, che mi ha mostrato come si possa scrivere fantascienza senza rinunciare all’ambizione letteraria, ma Creyna predata il mio incontro con Severian e non gli assomiglia molto. Eymerich, no, assolutamente. Ho letto il romanzo di Evangelisti che ha vinto il premio Urania e non mi è piaciuto. Ma siccome piaceva a tutti gli altri, ho pensato, ok, era la sua prima opera, e ne ho letto un altro. A quel punto ho semplicemente deciso che Evangelisti non faceva per me. Diciamo che ha una concezione della fantascienza molto diversa dalla mia.
No, Creyna è uno di quei personaggi che si impongono ed esigono che la loro storia venga raccontata. Gli scrittori si dividono in quelli che si fanno mettere sotto i piedi dai loro personaggi e quelli che li comandano a bacchetta. Connie Willis dice sempre che i suoi personaggi fanno quello che lei gli dice di fare, punto e basta. I miei no. In particolare i cattivi tendono a sviluppare un loro punto di vista e a farsi ambigui. E chiaramente i cattivi unidimensionali sono una barba da scrivere. E’ molto più interessante se hanno delle ragioni, magari sbagliate, ma credibili. La verità è che ho incrociato un paio di persone che avrebbero potuto essere la controparte reale di Creyna, almeno uno dei quali per fortuna non è più parte dell’esercito di una superpotenza: e sono squallidi personaggi, per nulla affascinanti e incredibilmente stupidi. Gillo Pontecorvo mette ne “La Battaglia di Algeri” un personaggio, il colonnello Mathieu, che è un composto di vari ufficiali francesi della guerra d’Algeria, Massu, Bigeard, Trinquier, e quando l’ho visto ci ho riconosciuto molto di Creyna. Ma è un personaggio fittizio. Ecco, mi piacerebbe dire che “La Battaglia di Algeri” mi ha ispirato, ma se è successo è stato indirettamente, perché quando l’ho visto per la prima volta avevo già sostanzialmente formato i miei personaggi.

SENZA UN CEMENTO DI SANGUE - Il primo romanzo di Anna Feruglio Dal Dan. Affresco di una guerra interplanetaria fra le colonie esterne e il governo centrale di un Impero totalitario, la cui polizia militare è famosa per le feroci torture che infligge ai prigionieri. Il titolo del romanzo è tratto da una citazione del poeta W.H. Auden secondo cui le mura su cui si fonda la storia non possono reggersi senza il sangue degli innocenti. "Perché senza un cemento di sangue (dev’essere umano, dev’essere innocente) nessun muro secolare può stare in piedi con sicurezza." W.H. Auden, Horae Canonicae
SENZA UN CEMENTO DI SANGUE – Il primo romanzo di Anna Feruglio Dal Dan. Affresco di una guerra interplanetaria fra le colonie esterne e il governo centrale di un Impero totalitario, la cui polizia militare è famosa per le feroci torture che infligge ai prigionieri. Il titolo del romanzo è tratto da una citazione del poeta W.H. Auden secondo cui le mura su cui si fonda la storia non possono reggersi senza il sangue degli innocenti. “Perché senza un cemento di sangue (dev’essere umano, dev’essere innocente) nessun muro secolare può stare in piedi con sicurezza.” W.H. Auden, Horae Canonicae

B-SIDES: Relazioni sociali e psicologiche ricche di sfumaure, di sfaccettature a volte contraddittorie, rendono realistici tutti i personaggi del suo romanzo, a patire da Towny, la giovanissima eroina a capo della rivolta dei Pianeti Esterni contro la Cirte, fino all’ancor più giovane torturatore, Dano, che nel finale ci regala un commovente, anche se misuratissimo, sprazzo di umanità. Sembra che tutti siano stati costretti da eventi esterni a diventare quello che sono. Eventi ai quali non ci si può ribellare. Questo corrisponde alla sua visione della vita, della Storia?

Anna Feruglio Dal DanAnna Feruglio Dal Dan: Beh, dipende da a che livello si guarda la Storia. Credo che dal punto di vista dell’individuo ci sia poco che chiunque possa fare che sia decisivo. Non credo (molto) nella teoria dei Grandi Personaggi Storici. Grant e Sherman erano brillanti strateghi, ma la guerra civile americana è stata vinta dalle industrie del Nord, e il Sud non avrebbe comunque potuto vincerla. Sherman in effetti provò a spiegarlo, questo, scrivendo ad un suo corrispondente che era un fervente secessionista:
Il Nord è in grado di fabbricare locomotive, vagoni ferroviari, macchine a vapore: voi non siete nemmeno in grado di fabbricare un paio di scarpe o un metro di tessuto. State per correre alla guerra con uno dei popoli più ingegnosi, forti e decisi della Terra, e alle vostre porte. Siete destinati a fallire. Solo in spirito e decisione siete preparati, per il resto siete del tutto impreparati, e la vostra è una causa ingiusta. All’inizio avrete un certo successo, ma quando le vostre risorse, che sono limitate, si saranno esaurite, tagliati fuori dai mercati europei, finirete per cedere.
Da questo punto di vista, le possibilità del singolo di prevalere sono quasi nulle. Eppure Sherman è andato in guerra, pur odiando ogni momento, e ha contribuito alla storia degli Stati Uniti. E veniva dallo stesso ambiente, era stato formato dalle stesse forze, di Robert E. Lee. Alla fine la storia è la risultante delle micro azioni che compiamo tutti i giorni, del lavoro che accettiamo di fare, del modo in cui lo svolgiamo, delle conversazioni che abbiamo con gli amici e con l’edicolante. Ci sembra di essere ininfluenti perché siamo solo una molecola in un carro armato, ma il carro armato è fatto di molecole, e si muove secondo la risultante delle loro intenzioni.
Insomma nonostante tutto, Creyna ha scelto, e avrebbe potuto fare scelte diverse, così come Twony avrebbe potuto scegliere di combattere in modo diverso o di non combattere affatto. Nel grande schema delle cose nessuna delle loro scelte avrebbe cambiato di molto le cose ma, naturalmente, avrebbe cambiato molto nella loro vita.

B-SIDES: In questo periodo fortunato per le serie televisive tratte dai romanzi di grandi scrittori come Philip K. Dick (“L’uomo nell’alto castello”) e Margaret Atwood (“Il racconto dell’ancella”), cui si aggiungerà presto quella tratta da “Pensa a Fleba” di Iain M. Banks, lei non ha mai pensato a un adattamento del suo romanzo? Quando scriveva, ha mai immaginato gli attori che potevanoo interpretare il ruolo di Creyna o di Twony, di Nikla, di Mhara o della cosole Vanja?

Anna Feruglio Dal DanAnna Feruglio Dal Dan: Ah ah magari. Potrei smettere di lavorare in banca e scrivere a tempo pieno. Non succederà. Voglio dire, non succederà che qualcuno mi offra un sacco di soldi per l’opzione del mio libro, salve Netflix!, e anche se succedesse il 90% delle opzioni non diventano realtà. E se poi diventano realtà finisce che scelgono per Twony una bionda americana. Per quanto se vogliono Idris Elba o Chadwick Boseman per Creyna io non farei altro che diverse capriole. Ogni volta che vedo un’attrice di colore ci riconosco Twony, ho avuto Angela Bassett (in “Strange Days“), Halle Berry, e adesso Sonequa Martin-Green. Sempre parlando di imprinting, quando ho rivisto per la prima volta dalla mia infanzia UFO ho riconosciuto un sacco di manierismi di Straker, con mio grandissimo imbarazzo.

B-SIDES: Il suo lavoro di traduttrice l’ha in qualche modo aiutata nella stesura del romanzo?

 

Anna Feruglio Dal Dan: Tradurre mi ha senz’altro insegnato moltissimo. Ho fatto grandi passi avanti quando ho cominciato a tradurre racconti per conto mio, prima di farne un lavoro. Tradurre vuol dire essere obbligati a guardare l’opera di un altro molto da vicino, con costanza. In un certo senso è come smontare un mobile per un trasloco, notare dove va ogni vite e ogni tenone, capire la logica con cui gli elementi si incastrano, poi portare tutti i pezzi da qualche altra parte e rimetterli insieme. Ti obbliga ad essere all’altezza del testo di partenza, il che è una sfida ma è anche rassicurante, perché c’è qualcuno che ti tiene la mano, che supplisce la trama, i personaggi, la storia. E ovviamente, se riesci a farti pagare, ti permette di vivere scrivendo. Si impara a scrivere scrivendo, e tradurre vuol dire scrivere, quindi da un certo punto di vista mi sono mantenuta per quasi vent’anni con la scrittura. Purtroppo in Italia il mercato editoriale non permette più a nessuno di vivere di traduzioni, e non è possibile tradurre verso una lingua acquisita, quindi non posso reinventarmi come traduttrice dall’italiano all’inglese (ho provato, in momenti in cui avevo assoluto bisogno di lavorare). In realtà quando scrivo narrativa scrivo in inglese dal moltissimo tempo, perché da quando avevo quattordici anni ho letto soprattutto in inglese, e quando ho finito il romanzo ho dovuto fare uno sforzo cosciente per usare l’italiano. Quindi anche da questo punto di vista tradurre mi ha aiutato, non avevo la scusa di dire “non so come dire questa roba in italiano”, sapevo che magari era difficile, magari dovevo ricorrere a giri di parole, ma si poteva fare. L’inglese è una lingua più plastica dell’italiano e ha tre volte il numero di vocaboli, quindi quando traduci devi essere in grado di improvvisare. Quando traducevo Banks inventavo serenamente parole, e alla fine quando traducevo “Excession” gli ho scritto per chiedergli se le parole che avevo inventato erano inventate anche in inglese e lui mi ha detto, ahem, ecco, no, sono tutte parole inglesi, se guardi nel Chambers Dictionary ci sono tutte… Sono uscita, ho comprato il Chambers e ho cominciato a smadonnare. Dopo un po’ di giri sul tappeto pensando, come Paperino con le nuvolette sopra la testa, ho deciso che l’unica era ricorrere ai neologismi comunque. Una lingua che non ricorre ai neologismi è una lingua morta e io non volevo scrivere in una lingua morta.

 

Materia oscura - Stazione Tikuka di Anna Feruglio Dal Dan
Contiene il racconto “Stazione Tikuka” di Anna Feruglio Dal Dan ambientato nello stesso universo di “Senza un cemento di sangue”. La stazione orbitale del titolo è governata da una Intelligenza Artificiale che sembra avere emozioni e un’etica molto umane (forse anche più che umane).

B-SIDES: Immagino che non aver vinto il Premio Urania nel 2000 l’abbia profondamente delusa. Com’è veder pubblicato oggi il suo romanzo, dopo 17 anni di silenzio?

Anna Feruglio Dal Dan: Quanti anni abbiamo? Sulla pagina di Facebook del mio romanzo avevo promesso di scrivere la storia della mia partecipazione al premio Urania, ho scritto la prima parte ma la seconda sta ancora lì perché è troppo dolorosa. Nel 2000, quando io ho partecipato al premio Urania, c’era un solo modo di scrivere professionalmente in Italia ed era di vincere il premio Urania. E non è tanto che non abbia vinto, quanto che le ragioni per cui non ho vinto mi hanno fatto capire che semplicemente non scrivevo il genere di cose che Urania aveva interesse a pubblicare. A suo tempo mi arrabbiai molto ma non era colpa della redazione di Urania se tutte le altre vie erano chiuse. Non avevano nessun dovere nei confronti della fantascienza italiana di coltivare nuovi talenti, avevano il loro daffare a tenere a galla l’unica collana di fantascienza rimasta in Italia. Ma per me voleva dire che la strada della narrativa era chiusa, almeno in Italia. Mi ci sono voluti un paio di anni per riprendermi, cominciare a scrivere in inglese, e andare al Clarion, nel 2003. Il Clarion è stato incredibilmente traumatico, non tanto per l’esperienza in sé, che comunque era abbastanza intensa, ma perché per la prima volta mi sentivo a casa, fra gente, non solo i miei colleghi ma i docenti, i visitatori, l’ambiente di Seattle che ha una concentrazione notevole di scrittori, che mi capiva e parlava la mia stessa lingua, che aveva letto le stesse cose che avevo letto io, che rideva delle stesse battute. Per sei settimane ho incontrato e conversato con China Miéville, Samuel Delany, Octavia Butler, Ted Chiang, Ursula Le Guin – da pari a pari, anche se quando Ursula Le Guin è venuta a trovarci eravamo tutti ammutoliti dalla venerazione, compreso China che era il nostro istruttore. Mi sono sentita arrivata a casa e che una volta finite le sei settimane sarei dovuta tornare in esilio. Sono tornata in Italia e ho avuto un crollo, la mia vita è andata a gambe all’aria, ho smesso di lavorare e sono stata per diversi mesi in animazione sospesa. Ho capito che dovevo lasciare l’Italia, e così ho accettato un lavoro completamente diverso a Londra. Mi piacerebbe dire che questo è stato il lieto fine ma non è esattamente vero. Mi sto ancora riprendendo dalla rottura che è stata il 2003. Scrivo, ma a parte due racconti su Strange Horizon e una rivista ormai defunta non ho venduto niente in inglese, e ho smesso di scrivere per anni. Adesso ho ripreso, ma il romanzo che ho finito e mandato in giro non è lontanamente avvincente come quello che ho pubblicato in Italia, e tornerà in un cassetto. Facendo un altro lavoro, e un lavoro che occupa praticamente tutte le mie ore, finisco per scrivere nei ritagli di tempo, e non è facile. Ho sempre saputo che per poter scrivere bisogna essere in grado di guadagnarsi da vivere con la scrittura, e nel mio caso, non è successo. In realtà succede molto raramente, anche nel mercato anglosassone. Scrivere per se stessi non è il modo migliore di scrivere, ma è quello che si fa se non si riesce a smettere, e nel mio caso, se non scrivo sono profondamente infelice, quindi non posso smettere. Credo che fosse Connie Willis, di nuovo, che ci disse che gli scrittori sono quelli che non riescono a smettere di scrivere, perché chiaramente la scelta razionale sarebbe quella, di smettere.

Anna Feruglio Dal Dan
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