Intervista a Vincenzo Gueglio, traduttore e curatore de I VIAGGI di G(R)ULLIVER
Uno dei testi più celebri di tutta la narrativa mondiale è probabilmente “I Viaggi di G(r)ulliver” di Johnathan Swift, pubblicato nel 1726
Rileggere i classici, oppure leggerli ex novo può essere un’attività intensamente stimolante. Perché sia possibile trarre piacere da un classico è però spesso necessario un aiuto, un viatico che ci permetta di arrivare al cuore del testo senza essere intralciati dalle difficoltà che i secoli che ci separano dall’opera spesso frappongono.
Uno dei testi più celebri di tutta la narrativa mondiale è probabilmente “I Viaggi di Gulliver“ di Johnathan Swift, pubblicato nel 1726 con il titolo originale di “Travels into Several Remote Nations of the World, in Four Parts. By Lemuel Gulliver, First a Surgeon, and then a Captain of Several Ships“. Di questo testo incredibilmente attuale e sconvolgente è stata pubblicata da pochi giorni un’edizione davvero imprescindibile a cura di Vincenzo Gueglio per i tipi di Gammarò che fornisce uno strumento indispensabile per penetrare in un’opera così ricca di suggestioni, riferimenti, citazioni, parodie. Nato nel 1946 e laureato in filosofia, Vincenzo Gueglio ha scritto narrativa per adulti e per bambini, teatro, saggi in numerose riviste. Dal punto di vista critico si è occupato di Giacomo Leopardi, Carlo Bo, Guido Gozzano, Renato Serra e Giuseppe Mazzini. La sua traduzione, la cura e le note al testo de “I Viaggi di Gulliver“ (che nell’edizione Gammarò è Grulliver, come vedremo) sono davvero straordinarie, rendendo questa una delle migliori edizioni di un classico inglese apparse negli ultimi anni in Italia. Data l’importanza e la bellezza di questa edizione, ho voluto intervistare il curatore per cercare di entrare nel laboratorio che ha prodotto un libro così ricco, capace di aumentare il godimento di un testo dotato ancora di enorme fascino.
B-SIDES: La prima domanda, è chiaro, riguarda il titolo: I viaggi di Grulliver, con la r tra la g e la u. Nella premessa al libro lei espone i motivi di questa scelta inedita. Ce ne può parlare?
Vincenzo Gueglio: Il personaggio Gulliver nasce come maschera buffa, a margine dello Scriblerus Club, una associazione fondata da alcuni fra i più brillanti ingegni d’Inghilterra di orientamento tory per prendersi gioco dei politicanti avversari e degl’intellettualucoli di regime. Fra loro ricordo, oltre a Jonathan Swif, Alexander Pope, John Gay, John Arbuthnot, Henry St. John, Thomas Parnell. Martinus Scriblerus, al quale il club è intitolato, è il simbolo è la caricatura del “progressista” a tutti i costi: scriteriato, innamorato d’ogni novità in qualsiasi campo. Nei Memoirs of Martinus Scriblerus si fa cenno ai suoi viaggi: che corrispondono esattamente a quelli di Gulliver. Gulliver nasce come controfigura dello Scriblerus, ed è importante ricordarlo; perché questa origine – sebbene poi l’arte di Swift dilagando sullo schema iniziale abbia condotto a risultati di tale altezza da trascendere qualsiasi intenzione – colloca l’opera sul terreno nel quale è cresciuta, dal quale ha tratto nutrimento e linfa vitale. Gulliver è very gull, ‘proprio scemo’. M’è parso necessario far risonare in una parola italiana il pun swiftiano: l’avvertimento che Swift pianta nel nome del Viaggiatore. Il Grulliver che propongo rimanda a quel gioco di parole (a quell’avvertimento): ho tentato un calco dell’originale che contenesse, come quello, un ammiccamento, una strizzatina d’occhio moderatamente straniante al lettore. G(r)ulliver, dunque, non per capriccio, ma per necessità: per cercare di aderire alle intenzioni dell’autore e allo spirito dell’opera.
B-SIDES: La prima edizione dei Viaggi a chi era attribuita precisamente? Allo pseudonimo di Swift Richard Sympson o a Lemuel Gulliver stesso?
Vincenzo Gueglio: Autore dichiarato era Lemuel Gulliver, sulla vita e la carriera del quale si forniscono meticolose notizie… Il libro si presentava come uno dei tanti diari di viaggio che avevano fortuna all’epoca: un’epoca, non dimentichiamo, nella quale ancora molte parti del mondo (la costa nord-occidentale dell’America, ad esempio, l’Australia, ecc.) erano poco note o del tutto inesplorate. A tacer d’altro la California era considerata un’isola e assolutamente vaghe e fantasiose erano le notizie su quello che noi oggi chiamiamo “Stretto di Bering” e che allora era chiamato “Stretto di Anian“. E’ ai margini di queste ampie aree inesplorate che G(r)ulliver approda nei suoi Viaggi ed è di quelle terre e dei popoli che le abitano che ci fornisce ampi resoconti “scientifici”… Per questo (e perché nel testo G(r)ulliver fa ripetutamente riferimento ad altri viaggiatori e alle mappe che derivano dalle loro informazioni) ho ritenuto indispensabile riportare alcune carte geografiche del tempo.
B-SIDES: La traduzione di un classico è sempre impresa ardua. A mio parere lei è riuscito a superarla con risultati davvero convincenti. Quali sono stati i problemi più ardui da superare?
Vincenzo Gueglio: la ringrazio della sua gentilezza. Secondo Leopardi, «la perfezione della traduzione» consisterebbe nel fare in modo «che l’autore tradotto non sia, per esempio, greco in italiano, greco o francese in tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale è egli è in greco o in francese». Leopardi si dice persuaso che nel conseguimento di tale perfezione il traduttore italiano sia privilegiato in quanto assistito dalle caratteristiche di duttilità e ricchezza che, a suo giudizio, «la lingua italiana possiede […] in sommo grado fra le moderne colte». Se Leopardi ha ragione, il privilegio di tradurre un testo in italiano ci carica di una speciale responsabilità: perché naturalmente sarà necessario che di tanta ricchezza e duttilità (e forza) della lingua il traduttore sia in grado di servirsi appuntino e che insomma la sua conoscenza non sia astratta, da grammatico, ma operativa, da scrittore: ai cui talenti dovrà aggiungersi la capacità di portare la propria lingua a rispecchiare l’originale sino a rendere, per esempio, il Gulliver italiano identico o simile quanto più possibile all’inglese: una somma di virtù, arte e dottrina che, a tacer d’altre e più banali cause, spiega la scarsità di traduzioni non si dice perfette ma soddisfacenti.
So quanto goffo possa essere il tentativo di adeguarsi all’ideale di perfezione additato da Leopardi; e io mi sento come uno yahù che tenti di imitare il nobile portamento di un Houyhnhnm; tuttavia l’obiettivo mi è parso giusto; e l’ho adottato non so se proprio come programma di lavoro concreto, certo come orizzonte cui traguardare.
Ma altri problemi, altri dubbi e incertezze hanno complicato e rallentato il mio lavoro condizionandone le scelte e la stessa resa espressiva. Come tradurre il primo quarto del XVIII secolo della Londra di Swift e Pope in questo arrancante XXI, meridiano di Roma? Come passare da quella civiltà (o barbarie) a questa? Come e dove troverò la forza e l’umiltà di non sovrapporre me stesso a Swift; e la giusta misura per non essere meccanico come un vocabolario?
Star dietro ai giochi di parole, alle acrobazie verbali e alle sottigliezze semantiche del testo è impresa disperata che offre nondimeno risvolti agonistici: il successo è entusiasmante, la sconfitta non troppo disonorevole. Ma è un gioco terribile e faticosissimo. Parlare di fedeltà o infedeltà al testo è un po’ vago o decisamente futile. Occorrerebbe piuttosto decidere se il traduttore è degno o no del testo che affronta, se ne afferra o no l’intima essenza; se è in grado di trasferire il profumo di quel giardino a un altro giardino, chiuso in tutt’altre mura, in un altro mondo; in un altro tempo.
Ma non esageriamo, infine, le difficoltà: è così facile, direbbe Serra, fare quello che bisogna. E la traduzione costituisce appunto una necessità; creativa; un po’ come l’esecuzione di un brano musicale. E così mi piace pensarmi: come un musicista che legge e trasforma la realtà e verità dei segni vergati sul pentagramma dapprima in una emozione segreta e poi in un’altra cosa e realtà. Qualcosa accade, infine. E il pensiero, la poesia, la potenza fantastica del testo sono certo in grado di resistere a ogni nostro errore. E così al rischio dell’errore mi sono gettato, infine, risolutamente; da bravo yahù orgogliosamente, anzi: con il desiderio di rendere questa esecuzione l’ottima. Rivelo senza infingimenti la mia ambizione al lettore: se non sarò riuscito, più grande sarà lo smacco. E pazienza.
B-SIDES: Quante traduzioni italiane esistono de “I viaggi di Grulliver“? Quali ha tenuto presente nel suo lavoro (anche per distanziarsene)?
Vincenzo Gueglio: La prima traduzione dall’inglese si deve a Aldo Valori per l’editore Formiggini (Roma 1913). Sino all’iniziativa di Formiggini, editore mai abbastanza lodato, “I Viaggi di G(r)ulliver” erano noti in Italia attraverso l’edizione francese (un po’ depurata rispetto all’originale, per non dispiacere ai regnanti) dell’abate Pierre-François Guyot Desfontaines, Voyages de Gulliver, Paris, Guérin, 1727, ripetutamente ristampata sino alle soglie dell’Ottocento, o attraverso la sua tempestiva traduzione: Viaggj del capitano Lemuel Gulliver in diversi paesi lontani. Traduzione dal Franzese di F. Zannino Marsecco, Venezia 1729, poi 1749.
Si sente spesso parlare della cura che Swift avrebbe posto nel serbare l’anonimato, ma è una favola: il Desfontaines, a pochi mesi dall’edizione Motte del 1726, sa perfettamente chi è l’autore dei Viaggi, e nella Prefazione si dilunga a illustrarne le opere e l’ingegno.
Negli ultimi cent’anni il G(r)ulliver è dilagato; purtroppo è invalsa la pessima abitudine di diffonderne edizioni ridotte o abborracciate (talvolta spacciandole per integrali). Fra quelle attendibili segnalo: Carlo Formichi, Mondadori, Milano 1933; poi, con testo a fronte, in un volume a cura di M. D’Amico, nella collana Biblioteca Mondadori, Milano 1982; e nel già citato volume delle Opere di Swift a cura di M. D’Amico nei Meridiani Mondadori, Milano 1983.
Ugo Dettore, ediz. Bianchi Giovini, Milano 1945; poi Rizzoli, Milano 1975 con introduz. di Maria Luisa Astaldi e le illustrazioni di Grandville.
Lidia Storoni Mazzolani, Einaudi, Torino 1945, poi ripetutamente ristampato: nei Millenni con un saggio di W. M. Thackeray; negli Scrittori tradotti da scrittori con una Nota del traduttore.
Luca Trevisani, Editori Riuniti (con prefazione di Mario Praz), Roma 1966; poi Lucarini, Roma 1988 con la stessa prefazione.
Attilio Brilli, Garzanti, Milano 1975, ripetutamente ristampata, con un saggio introduttivo dello stesso Brilli.
Gianni Celati, Feltrinelli, Milano 1997, con note e saggio introduttivo; poi SE, Milano 2012; ancora Feltrinelli 2014
Vincenzo Gueglio, Frassinelli, Milano 1999 con note e postfazione
Ho tenuto presenti un po’ tutte le traduzioni italiane (tranne quella di Celati, che quando iniziai il mio lavoro non conoscevo), e anche quella francese di Emile Pons per Gallimard. Non saprei dire quale delle traduzioni mi abbia influenzato. A posteriori credo sia stata una fortuna non conoscere quella di Celati, che avrebbe potuto affascinarmi troppo.
B-SIDES: Le note al testo, più di 350, insieme ad una traduzione attenta a rendere il timbro, il giro di frase e le scelte lessicali dell’originale, sono tra gli elementi che contraddistinguono quest’edizione. Che cosa c’è nelle note? Perché servono? Io credo che aumentino il piacere della lettura. Cosa ne pensa?
Vincenzo Gueglio: Le note sono una specie di distillato del mio (lungo, lungo) lavoro di avvicinamento al testo. Ho ritenuto giusto condividerne i risultati col lettore. Credo che possano favorire la conoscenza e quindi il godimento di un libro intessuto di allusioni, ammiccamenti, parodie, ambiguità, giochi di parole (a cominciare dal very gull nascosto nel nome del protagonista).
Le illustrazioni, parte integrante dell’opera fin dall’inizio, sono ricche e importanti anche in questa edizione, nonchè inedite in Italia.
Naturalmente ho conservato le illustrazioni (poche ma decisamente imprescindibili) presenti nella prima edizione dei Viaggi: esse sono a tutti gli effetti parte integrante del testo e trovo incomprensibile che alcuni editori non le riportino. Le ho integrate con alcune carte geografiche dell’epoca, che ugualmente entrano in colloquio col testo, che ad esse ripetutamente allude. Infine mi è parso opportuno far conoscere al lettore italiano le magnifiche illustrazioni di Morten, che certo impreziosiscono l’edizione.
B-SIDES: Quali sono le differenze tra questa nuova versione di Gammarò e la prima edizione della sua traduzione, uscita nel 1999?
Vincenzo Gueglio: Ho rivisto qualcosa, non molto, soprattutto nella quarta parte. In particolare ero insoddisfatto di come avevo tradotto con “padrone” il termine “master” col quale G(r)ulliver indica il Cavallo sapiente che lo ospita e verso il quale ha un atteggiamento che mi pare caratterizzato più da deferenza, ammirazione e rispetto che da servilismo; così ho adoperato qualche volta (e non senza molte esitazioni) il termine “mastro”, un po’ antiquato ma di buona fattura, qualche altra il titolo di “Eccellenza”.
Soprattutto ho corretto alcuni errori, rivisto le note, messo in rilievo alcune connessioni che allora non avevo colto; e chissà quante ancora mi saranno sfuggite…
B-SIDES: Come scrive nell’introduzione I viaggi di G(r)ulliver sono un libro che si fonda e si nutre di altri libri, un thesaurus della letteratura che però è letteratura essa stessa. Quali sono, se esistono, i testi che anticipano tematiche e tono dell’opera di Swift? E quali i più diretti e riusciti eredi?
Vincenzo Gueglio: Sì, un libro zeppo di libri, eppure prepotentemente originale, anzi unico… Eppure i riferimenti culturali, e anche i modelli sono evidenti; per limitarci ai principali diciamo in primo luogo la Storia vera di Luciano; poi l’Utopia di Tommaso Moro; la Storia di Sindibàd il marinaio; le Lettere persiane; i Voyages aux États de la Lune et aux États du Soleil di Cyrano de Bergerac; Gargantua e Pantagruele; don Chisciotte…
Quanto agli eredi, davvero non saprei… Forse soltanto “Alice“…
B-SIDES: Pur essendo un’opera terribile e impietosa (uso i suoi termini), I viaggi di G(r)ulliver sono collocati da secoli, almeno in Italia, nello scaffale della letteratura per ragazzi, con il probabile sottinteso di volerla allontanare da una lettura adulta. Qual è la ragione?
Vincenzo Gueglio: Il G(r)ulliver va disinnescato… Dice cose sull’uomo e sull’ordinamento delle società moderne che a lungo sono parse insopportabili (e oggi?). La società contro la quale Swift ha puntato l’indice delle sue accuse ha messo in atto una duplice strategia di difesa: da una parte ha provveduto a togliere senso e valore a quelle accuse presentandole come frutto di una mente malata (l’ossessione escrementale ecc…. La leggenda della pazzia di Swift è stata ripetuta tanto che probabilmente qualcuno ancora la crede vera); dall’altra si è fatto ricorso all’amputazione fisica del testo, che in questo modo è diventato roba da bambini, ridicola, indegna dell’attenzione di persone serie…
Ho fatto cenno agli “aggiustamenti” della traduzione francese del Desfontaines, passati in quella italiana di Zannino Marsecco. Nel 1842 uscì presso lo Stella di Milano (l’editore di Leopardi) una traduzione italiana dall’inglese a opera di Gaetano Barbieri, arricchita dalle bellissime illustrazioni di Grandville; purtroppo priva del quarto libro. Incredibile?
L’edizione inglese dei Viaggi (1865) dalla quale ho tratto le illustrazioni di Thomas Morten che ho adoperato per l’edizione oggi uscita presso Gammarò manca dell’intero settimo capitolo della quarta parte, quello nel quale Grulliver illustra ai cavalli sapienti le meraviglie dell’amata Inghilterra… Un taglio teso, evidentemente, a evitare traumi alla delicata sensibilità patriottica delle orecchie vittoriane.
B-SIDES: Se potesse dedicare la cura e il lavoro che ha speso su Grulliver, su quale classico si impegnerebbe?
Vincenzo Gueglio: Mi piacerebbe affrontare “La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo“ di Laurence Sterne; e soprattutto “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carrol. Ma sono troppo vecchio, troppo saggio e troppo cosciente della mia inadeguatezza per provarci davvero. Peccato, perché Alice in particolare sarebbe una bellissima avventura…
I viaggi di Grulliver
Johnathan Swift
cartonato cm. 17 x 24
Collana: I GRANDI CLASSICI
Gammarò edizioni
2019 – ISBN 9788899415365 – € 28.00