ENNIO De CONCINI: memorie di un fallito di successo
Ennio De Concini è uno degli sceneggiatori cruciali del nostro cinema. L’uomo che ha creato il peplum, che ha vinto l’Oscar per Divorzio all’italiana,…
“Chi si firma è perduto. Ennio De Concini: memorie di un fallito di successo” un libro intervista di Jonathan Giustini.
L’intervista è un’arte estremamente difficile. Richiede contemporaneamente capacità di ascolto e di stimolo, di indagine e di strategia, sensibilità psicologica e tenacia. Ecco perché sono pochissimi i libri davvero importanti strutturati su un dialogo a due voci, nonostante questa forma sia all’origine di alcuni dei testi più potenti della storia della cultura (Platone può bastare?).
Anche per il cinema i libri intervista fondamentali sono rari. Chi ama la settima arte però ricorda e conserva con gelosia alcuni libri-dialogo, tra cui non si possono non citare Truffaut-Hitchcock, Bogdanovich-Welles e poi forse anche Bogdanovich-Ford e McBride-Hawks e pochi altri. Esistono libri intervista a registi, attori, montatori ma la figura dello sceneggiatore è più rara (se si eccettua lo straordinario Il cervello di Alberto Sordi, intervista con Rodolfo Sonego di Tatti Sanguineti). Ecco qui, a cambiare le carte in tavola, un libro di incredibile sincerità e forza, ricchissimo di storia e storie, di personaggi come Stanley Kubrick, Roman Polanski, Brian Jones dei Rolling Stones, Peter Falk, Giuseppe De Santis, Pietro Germi, Raffaello Matarazzo, Mario Camerini, Tinto Brass, Mario Bava, Gillo Pontecorvo, Mario Monicelli, Roberto Rossellini, Franco Zeffirelli, Roberto Faenza, Carlo Lizzani, Dino Risi, Luciano Salce, Federico Fellini…
L’autoritratto di uno degli sceneggiatori cruciali del nostro cinema. L’uomo che ha creato il peplum, che ha vinto l’Oscar per Divorzio all’italiana, che ha rinnovato la fiction televisiva con La Piovra.
Un libro rimasto colpevolmente inedito per vent’anni e pubblicato solo ora, meritoriamente, da Iacobelli editore, grazie all’insistenza di Francesco Coniglio, curatore di alcune collane per l’editore. Ho voluto parlarne con Jonathan Giustini che lo preparò vent’anni fa per poi non vederlo pubblicato, fino ad ora.
B-SIDES:
Se qualcuno ti chiedesse: “Chi era Ennio De Concini?”, sapresti rispondere?
Jonathan Giustini: Penso spesso ad Ennio. Alla lezione di cultura e di arte che mi ha lasciato. E’ stato un uomo di rara raffinatezza e cultura. Un intellettuale puro: e dunque sanguigno, sincero fino allo spasimo. L’uomo che ha salvato diverse volte le sorti compromesse del cinema e della televisione italiana. Un puro storyteller. Un facitore di storie, come quei grandi scrittori nazionalpopolari alla Balzac. Un uomo capitato per caso nel cinema e che non lo ha mai preso sul serio. E solo grazie a questa distanza, a questo umorismo di ritorno si è garantito il successo. La dimostrazione vivente di una vita al contrario: un uomo della ricostruzione del cinema. Vissuto in un tempo irripetibile e spavaldo, turbinoso e senza freni. Un uomo del sottosuolo costretto a vivere alla luce del sole. Dicono che sia stato uno dei più grandi sceneggiatori del cinema italiano. Ma non sapeva spiegare cosa fosse una sceneggiatura. Un uomo uscito fuori dalle pagine di Jonathan Swift o di Dostoevsky. Un personaggio di pura letteratura. Disegnato da una mano espressionista alla George Grosz direi. Un lunatic man. Amico di Peter Sellers e di Ken Adam, amico di Brusati come di Montaldo e Marinetti. Un uomo che non aveva confini.
B-SIDES:
Come conoscesti De Concini?
Jonathan Giustini: Me lo fece conoscere un mio amico giornalista, poeta e importante critico letterario e scrittore: Renato Minore. All’epoca, oltre 25 anni fa, scrivevo di letteratura per giornali, qua e là. Un giorno incontrai Renato, ne diventai amico. Lo frequentai, lui e sua moglie, scrittrice anche lei, Francesca Pansa. Un giorno mi dissero che la Sugarco voleva pubblicare un libro che parlasse di Ennio De Concini. E cosi me lo presentarono. Nacque tutto da una presentazione tramite questi due scrittori che frequentavo all’epoca. Mi avevano preso in simpatia.
B-SIDES:
Come arrivaste a decidere di “fare” un libro con il dialogo tra voi due?
Jonathan Giustini: Nacque da un’esigenza narrativa. La Sugarco presto si ritirò, non ricordo se fallì o altro. Così arrivò la Marsilio. Mi pare sempre tramite Minore. C’era dunque questo contratto in ballo. Che poi fu stracciato perché il libro non piacque. Volevano lo riscrivessi, ricominciassi tutto daccapo. Io ci avevo lavorato due anni. La formula dell’intervista nacque a posteriori. Dai nostri dialoghi anche. Conoscevo i libri intervista di Truffaut ed altri, ma non ci pensavo all’inizio. Ne sentii l’esigenza quando mi resi conto che la forza devastante di quest’uomo si sarebbe persa seguendo un altro schema narrativo. Infatti non è semplicemente un libro intervista. Perché mantiene delle parti narrative e di analisi psicologica. Lo definirei piuttosto, con le dovute distanze cliniche, una sorta di lunga seduta psicoanalitica.
B-SIDES: Mi interessa conoscere meglio la storia di questo libro, dalla sua origine fino alla pubblicazione vent’anni dopo la scrittura…
Jonathan Giustini: Con Ennio fu molto difficile da subito. Lui non amava ricordare e smitizzava tutto. Dopo qualche seduta stavo per rinunciare e cosi feci per alzarmene ed andarmene. Ma sulla soglia di casa sua mi girai di scatto e fui folgorato da un’intuizione. Gli dissi: ora me ne vado, e non mi rivedrai più, ma devo dirti che tu mi ricordi l’uomo del sottosuolo, quando nel libro all’inizio dice: io sono un uomo malvagio, cattivo, altri mi chiamano pazzo. Lui fece un balzo, mi afferrò per un braccio e non ci siamo più lasciati per due anni. Registrammo centinaia di ore di musicassette, che ancora conservo, almeno una parte, e dopo averle sbobinate, centinaia e centinaia di fogli, ho rimontato il tutto, ho reinventato il libro, come un montaggio successivo. Lui ci ha rimesso le mani poco. Gli piacque subito. Devi scrivere, mi diceva sempre. Ma ho disatteso per oltre venti anni questo suo consiglio. Rimasi male quando la Marsilio lo rifiutò e cosi chiusi il manoscritto in un cassetto e non ho più voluto vederlo. Ero un giovane orgoglioso e forse un po’ matto. Poi dopo venti anni, incontro Coniglio, anzi con lui ci conoscevamo già in qualche modo. E una sera, insieme ad altri amici musicisti, non so come gli dico che scrissi un libro una volta su De Concini, rimasto inedito. Lui mi cominciò a telefonare e quasi mi costrinse a leggere il manoscritto. Che io non ritrovavo. Alla fine ne ritrovai il brogliaccio con ancora segnate a matita le correzioni di Ennio. Lui mi invitò a pranzo e durante tutto questo pranzo interminabile lo lesse. Davanti ai miei occhi lo lesse. Poi mi guardò fisso e mi disse: è strepitoso, lo pubblico io. E io glielo regalai. Divertito e anche un po’ commosso da quest’uomo un po’ matto che dopo vent’anni volevo pubblicare questo libro ancora più folle.
B-SIDES: De Concini fu un uomo tormentato. E ciò è evidente nel libro. Molta della sua sofferenza si tramuta in una reticenza instancabile. Se in un primo momento ci respinge, poi però lentamente veniamo attirati da un piccolo particolare, da uno spiraglio tra cui passa un frammento di storia, di sentimento. Come hai fatto a farlo parlare così tanto? È straordinario come sei riuscito a mantenere vivo il dialogo anche nei momenti in cui sembrava poter morire in un attimo.
Jonathan Giustini: Mi ha sorretto l’ostinazione, il desiderio assoluto di scrivere. Volevo fare lo scrittore all’epoca. Avevo ventisette o ventotto anni, comunque troppi. Dovevo riuscirci. Era la mia ultima occasione, mi dicevo. Ad un certo punto la fatica si è trasformata in un bisogno, in un’ossessione. Lui mi cercava, aveva bisogno di me e io di lui. Passavamo ore anche senza parlare, al buio. Ore ad osservare la sua straordinaria collezione di arte. La più bella che abbia mai visto: Kandinslk, Klee, Mondrian, Permeke, Guttuso, Mafai, Rosai, De Pisis e poi icone russe rarissime, fossili del cambriano e questa biblioteca piena di autografi, di inediti. A casa di Ennio ho cominciato ad amare l’arte pittorica. Mi ha insegnato tanto senza insegnarmi nulla. Poi ci siamo perduti e non ho avuto più il coraggio di chiamarlo. Perché il libro venne rifiutato e io me ne vergognavo ai suoi occhi. Qualche volta mi ha cercato lui. Poi ha capito che qualcosa mi imbarazzava ai suoi occhi. Quando morì ricordo che, spinto come da uno strano vento, sono tornato proprio sotto le finestre della sua casa. E sono rimasto lì, immobile, per parecchio tempo. Ora esce da quella porta, mi dicevo, ora esce, come un vecchio cavaliere Jedi. Con quei suoi maglioni fini a giro collo, con quella sua andatura morbida e rotonda. Con quei suoi grandi occhi scuri, profondi, in impercettibili istanti spaventati e poi di nuovo ridenti. Sono rimasto così, a rivederne l’ombra che non c’era più.
Litigavamo, questionavamo, ma poi il dialogo riprendeva. Era uno scontro. Credo di essere stato la persona che lo abbia messo più in crisi in quegli anni. Era un incontro di pugilato all’ultimo sangue. Per questo siamo andati avanti fino alla fine. Uno scontro vero. Ci tiravamo, metaforicamente, dei pugni pazzeschi.
B-SIDES: Che rapporto hai con il cinema? Guardando la tua bibliografia sembra che al centro dei tuoi interessi ci sia la musica, ma nel dialogo con De Concini risulta molto forte anche la tua conoscenza del cinema. Ti eri preparato sulla sua filmografia?
Jonathan Giustini: Mio padre, Maurizio Giustini, è stato uno dei più grandi truccatori del cinema italiano. E fin da quando ero ragazzo lo seguivo sui set. Un cinema mitico, che oggi non esiste più. Facevo la comparsa. Mi guadagnavo due soldi. Mi divertivo un mondo. Avevo tredici, quattordici anni. Sono cresciuto dentro il cinema. Poi ho studiato cinema con Guido Aristarco e poi mi sono imbeveuto di cinema. Ero molto preparato. Amavo il cinema. Con mio padre ero sul set dei grandi sceneggiati tv come L’Eneide, L’Odissea. Lo seguivo sui set di Franco Rossi, Bruno Vailati, Corbucci. Lavorava con Terence Hill, è stato il suo truccatore personale, poi Ornella Muti all’apice del suo successo e tanti altri: Mario Adorf, Marisa Berenson, prima ancora Renato Rascel, Giulio Brogi. Anche registi più intellettuali come Fabio Carpi, Gianni Toti. Mio padre viene da una famiglia di truccatori, mio nonno, Anacleto Giustini, fece Ben Hur con Charlton Heston. Lavorava con Blasetti. Insomma ho respirato cinema fin dalla nascita. Anche i fratelli minori di mio padre facevano tutti i truccatori: Massimo, Luciano, Claudia. Una strana famiglia.
B-SIDES:
Avevi dei modelli per quanto riguarda questo libro-intervista?
Jonathan Giustini: Devo dirti la verità nessun modello preciso. Conoscevo I libri di Bogdanovich e Truffaut. Ma non li ho seguiti. Ho fatto tutto di testa mia.
B-SIDES: Nonostante le mancanze, i “non ricordo”, i “non me ne frega niente”, credo che questo libro sia tra i più bei libri-intervista pubblicati in Italia, per la forza di quello che si dice e per il peso di quello che non si dice. In che momento ti sei reso conto che quello che stavi documentando era un dialogo prezioso?
Jonathan Giustini: Forse non me ne sono mai reso conto. Devo dirti che me ne ha fatto rendere conto il grande Tatti Sanguineti, venti anni dopo. Quando è voluto venire appositamente alla presentazione del mio libro al Festival del cinema di Roma. Mi ha chiamato e mi ha detto: dopo il tuo libro, conosciamo finalmente un altro lato del cinema; la storia è diversa. Mi sono messo a ridere ovviamente. Ma lui no, era serissimo. Se penso ai suoi libri su Sonego… Tatti è un genio. Un uomo straordinario, di una cultura immensa. Mi ha fatto un onore enorme. Uno dei più bei regali che mi potessero capitare.
B-SIDES:
C’è stato un momento in cui hai perso la speranza di riuscire a concludere il libro?
Jonathan Giustini: Sì, continuamente, ogni giorno la perdevo e poi la ritrovavo. Di fronte ai non so, non ricordo, non mi scocciare, non te lo dico, ma che strazio, ma che barba. Di fronte ad Ennio che smitizzava tutto e riportava tutto al grado zero. Ma dovevo andare avanti. Era un imperativo morale dentro di me.
B-SIDES: L’incontro con De Concini ha cambiato la tua visione del cinema e di quello italiano in particolare?
Jonathan Giustini: Potrei dirti meglio, una cosa più importante: l’incontro con Ennio ha cambiato la mia vita.
Chi si firma è perduto. Ennio De Concini: memorie di un fallito di successo
Jonathan Giustini
Iacobelli Editore
pp. 302 – € 16 – 2019