IL QABBALISTA incontro con un mistico ebreo. Un libro di Patrick Levy.

“Il Qabbalista” è un saggio sullo sull’interpretazione della Torah, ma è anche il racconto dell’incontro di Patrick Levy con il mistico ebreo rabbi Isaac.

Patrick Levy
Il qubbalista – Patrick Levy

Se cerchi un senso per la tua vita, ne troverai uno, ma diventerai schiavo della tua risposta.

“Il Qabbalista” (2002) è un saggio sullo studio e sull’interpretazione della Torah, un saggio senza dubbio molto profondo e impegnativo, ma è anche il racconto dell’incontro dell’autore, Patrick Levy, con il mistico ebreo rabbi Isaac. E’ a lui che Levy chiede di essere introdotto alla pratica della qabbalah. L’incontro avviene a Belleville (quartiere multietnico di Parigi) ed è qui che si terranno le lezioni, nel piccolo e fatiscente appartamento del rabbi, con i calcinacci che cadono dal soffitto quando, al piano di sopra, entrano in casa con irruente briosità i bambini dei vicini.

Patrick Levy
Patrick Levy

Rabbi Isaac Goldman è un qabbalista conosciuto per il suo approccio anticonvenzionale alle sacre scritture ebraiche (“Io non sono kasher” afferma ironicamente, con la sua voce forte e stridula, dall’accento inconfondibilmente yiddish). Fermamente convinto che “il religioso uccide il mistico” (questo è il senso profondo dell’uccisione di Abele da parte di Caino), Isaac Goldman non è propriamente un rabbino, ma un mistico erudito che ha passato la vita studiando e praticando l’ebraismo “senza preoccuparsi della conformità alla legge rabbinica”, cioè a quel monolitico sistema di regole che “risponde alle nostre domande, invece di lasciarle aperte come voleva la tradizione”.

 

Patrick Levy è uno scrittore ebreo affascinato dalla spiritualità e dalle tradizioni religiose che, però, si definisce “accanitamente ateo”. La domanda più folgorante che ha posto a cinque delle più famose religioni del mondo (Ebraismo, Cristianesimo, Islam, Induismo e Buddhismo) è contenuta nel titolo del suo saggio del 1993: “Dio crede in Dio?”.

La Torah (il Vecchio Testamento) nasce come un testo consonantico (cioè senza vocali e punteggiatura) scritto come una successione continua di lettere senza stacchi.
Solo fra il VI e il X secolo d.C. un gruppo di Ebrei (i Masoreti) trascrisse il testo sacro introducendo vocali e suddividendolo in frasi e parole. Un lavoro gigantesco, che ha portato alla versione ufficialmente adottata dal mondo ebraico.
Tuttavia appare evidente che questa versione è frutto di un’interpretazione, una fra le tante possibili, che ha cancellato “le ambiguità feconde” presenti nel testo originario.
Eliminare questo elemento essenziale dell’incertezza è formalmente un peccato, perché tutta la Torah insegna l’incompiutezza.
In effetti senza vocali una parola può assumere significati diversi a seconda di come la si legge.
La qabbalah analizza ogni parola, lettera per lettera, interpreta i possibili significati, li collega uno all’altro. Ogni lettera ha una sua simbologia e un valore numerico. La somma dei numeri consente di associare parole diverse, ma con lo stesso valore numerico. Si possono trovare significati nascosti anche leggendo le parole all’inverso o analizzando le singole sillabe contenute in una frase. L’analisi de testo diventa così un gioco combinatorio.
Da questo gioco possono nascere riflessioni, illuminazioni, contraddizioni… Questo è il dialogo con Dio. Un dialogo che può trasformarsi anche in lotta, una lotta con Dio o contro Dio, perché la qabbalah non spinge a obbedire o credere ciecamente: “studiare si oppone a credere”, “il giudaismo si costruisce come una discussione, una contrattazione con una inafferrabile verità, con un Dio innominabile, e altri eruditi con i quali polemizzare”.

Rotoli di Qumran - Museo Israelitico di Gerusalemme
Rotoli di Qumran – Museo Israelitico di Gerusalemme

 

In effetti l’ebraismo moderno offre così tante tendenze antagoniste fra loro che la polemica è pressoché inevitabile: estremisti, tradizionalisti, conservatori, modernisti, riformati… Si va dai partigiani della “restaurazione” (quelli che applicano la dottrina alla lettera e sognano la ricostruzione del tempio di Gerusalemme) ai sostenitori del rinnovamento. I toni sono così accesi che “la metà degli ebrei è atea o quasi, stancati dal Dio re, Signore, vanitoso dispensatore di leggi, gendarme dell’eternità” come viene spesso predicato dai rabbini.
Ciò rende Dio insopportabile”, constata Patrick Levy.
Per rabbi Isaac, gli estremisti “parlano di un Dio che ha emozioni volgari e lo sventolano come una minaccia o uno scudiscio”. Ritengono l’infelice responsabile del suo male “perché non è stato abbastanza fedele, abbastanza credente, abbastanza sottomesso”. Praticamente ritengono l’uomo colpevole per il solo fatto di esistere.
Ma “i posseduti da Dio non dicono altro che sciocchezze!”. Non credono davvero in Dio, credono solo nella paura di Dio.  Sono come moderni profeti, ossessionati dai costumi lascivi e dai peccati veniali della gente comune, e non si domandano mai perché Dio dovrebbe interessarsi a queste quisquilie in un mondo sconvolto da guerre e massacri, da fame e miseria, da scorie radioattive e catastrofi naturali.
Noi non abbiamo paura della morte, ma della vita e dell’altro”, dice rabbi Isaac.
Quindi “è la paura della vita che si esprime nella paura di Dio”, riflette Patrick Levy.

Per rabbi Levi-Isaac di Bertishevnon c’è nessun uomo verso il quale Dio non si sia reso colpevole”.
Per rabbi Asher di Saloulineè nella natura delle cose che ogni uomo abbia pietà di se stesso, ma oggi è tempo di avere pietà di Dio”.
Per rabbi Isaac Goldman di Bellevillei credenti, ebrei o altri, pensano che il Dio nel quale credono è il Dio al quale occorreva credere in ogni epoca (…). Se studiassero un po’ la storia della loro religione, l’evoluzione della sua teologia e dei suoi dogmi, l’influenza della storia sulla teologia, relativizzerebbero più facilmente le loro credenze e permetterebbero a Dio di evolversi più facilmente”.

Dopo gli incontri di studio sulla qabbalah, Patrick Levy è rimasto ateo, però si è congedato dal suo insegnante con parole toccanti: “Se fossi venuto al mondo solo per sentire le vostre parole, rabbi Isaac, mi sarebbe bastato”. Rabbi Isaac scoppiò a ridere.

Partick Levy dedica poche pagine al quartiere parigino di Belville, ma è stato un piacere per lui passeggiare con rabbi Isaac per quelle vie. “Mi piace Bellville”, dice, una sorta di crocevia dove confluiscono così tante etnie provenienti dall’Estremo e dal Medio Oriente (Cinesi, Vietnamiti, Pakistani), dal Maghreb (Algerini, Tunisini, Marocchini), dall’Africa nera, dall’Europa centrale, dal Sud America… Un quartiere “senza museo, senza cattedrale, dove gli abitanti e i loro costumi rimpiazzano i monumenti e i nomi dei locali commerciali sostituiscono le ambasciate”.

Tuttavia una sorta di museo all’aperto c’è: rue Denoyez, dove i graffiti sono legalizzati. E’ un museo in costante mutazione, dove i lavori degli street artists si avvicendano e si sovrappongono in un’esplosione di colori che vivacizza le pareti di case e bar, le porte, le fioriere, i cestini della spazzatura… Spesso il graffitismo viene visto come un segno di degrado. Qui è esattamente il contrario.

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